la Repubblica, 10 marzo 2019
Il Po è in secca
BORETTO (REGGIO EMILIA) Nello spiaggione accanto al ponte ci sono due persone che prendono il sole, quasi puntini in un mare di sabbia. Motoscafi con ragazzi tedeschi a pesca di siluri. Prendono il bestione, si fanno un selfie e poi mollano l’animale. Dicono che «è un bel divertimento». Peschi e albicocchi già fioriti. Dietro la “cartolina” c’è però una realtà diversa: in questa falsa primavera, sconvolto dal cambiamento del clima, il Po sta soffrendo. È in “magra” in un mese in cui di solito si aspettano le “morbide”, le piccole piene che comunque allagano le lanche, dove i pesci si riproducono e dove fino a 50 anni fa si pescavano gli storioni da un quintale. Metri 2,71 sotto lo zero idrometrico al ponte della Becca vicino a Pavia, meno 2,34 a Boretto. Capisci che le cose non vanno bene quando l’ingegnere Ivano Galvani, dirigente dell’Aipo (Agenzia interregionale per il fiume Po) dice che «bisogna sperare nel Padreterno». «Sì, speriamo ci dia il tempo di recuperare mandando tanta pioggia nei prossimi giorni e mesi. Anche in altri anni abbiamo avuto magre come questa ma oggi abbiamo un problema in più: sulle Alpi c’è poca neve, sugli Appennini sono imbiancate solo le cime più alte. Inutile aspettare lo scioglimento di una neve che non c’è. E in più le piogge sono state scarse e i laghi sono in crisi.
L’acqua che ci serve non è quella che cade potente in poche ore e precipita subito a valle. Ci serve pioggia continua e lieve, per giorni e giorni, che riempia i bacini montani. E neve che poi ghiacci e resista fin quasi all’estate. Certo, i periodi siccitosi c’erano anche trenta o cinquant’anni fa ma allora si consumava meno acqua, soprattutto nell’agricoltura e nell’industria. Nonostante le tante crisi non tutti hanno capito che l’acqua non è un bene infinito».
Al Lido di Boretto quelli del paese arrivano in bicicletta. Ogni giorno, puntuali, come se andassero a trovare la morosa. «Però l’acqua è bella». «Gino ieri ha tirato su un cavedano». «Il Po che abbiamo conosciuto – spiega l’ingegnere Franco Siccardi, della fondazione Cima (Centro internazionale di monitoraggio ambientale) e già responsabile del Gruppo nazionale difesa dalle catastrofi idrogeologiche del Cnr – era a regime “nivale”, cioè alimentato dalla neve, che garantisce portate consistenti da marzo fino almeno a giugno. E andava bene, perché si irriga soprattutto nella stagione calda, quando non ci sono piogge.
Ora il Po sta passando al regime “pluviale», con acqua abbondante in primavera e in autunno. Ora l’estate è in crisi perché sulle Alpi la neve e il ghiaccio sono in netta diminuzione. Si calcola che i ghiacciai si siano ridotti dal 5 al 10% in ognuno degli ultimi anni. Si fa presto a calcolare quando scompariranno». Il cambiamento climatico? «A dire che non esiste sono rimasti solo Trump e i minatori che vogliano continuare ad estrarre carbone. Ma lo sa che sulla Marmolada, la più alta montagna delle Dolomiti, si scia fra le pietre? Fosse solo un problema per gli amanti dello sci... Qui è in discussione il nostro modo di produrre cibo. Senza irrigazione oggi non c’è agricoltura, ma bisogna cambiare tante cose, anche i Consorzi di bonifica che sono centenari e in gran parte continuano a usare l’irrigazione a scorrimento, ormai superata dalle nuove tecniche come l’irrigazione a goccia, quellasotterranea… È come stare a un tavolo da gioco. Se arrivano nuovi giocatori e mettono nel piatto le nuove tecniche, i giocatori vecchi vengono spazzati via. Debbono essere prese subito decisioni serie: altrimenti non si mangia, e non sarà una decrescita felice…».
Verso sera, i fagiani escono dai cespugli e vanno a beccare nei prati. La siccità colpisce anche l’acqua che non si vede, quella delle falde. «Aumenta la temperatura – dice Carlo Cacciamani, responsabile del Centro funzionale del dipartimento della Protezione civile nazionale – diminuiscono le precipitazioni e così crescono le probabilità di siccità. Il caldo aumenta l’evaporazione dei terreni che diventano sempre più secchi e così anche la pioggia – sempre più spesso intensa e breve – non penetra la terra e non ricarica la falda».«Siamo fuori di testa», sintetizza Giuliano Landini, comandante della nave Stradivari, che ospita i turisti del Po e anche tanti convegni sul futuro del fiume. «Fuori di testa perché del Po si parla solo quando è in secca o in piena e si fanno progetti che non si realizzano mai. Faccio un esempio. Oggi, con la magra, abbiamo comunque una portata di 665 metri cubi al secondo e la navigazione è in crisi. Nella mitica Senna, invece riescono a navigare con una portata di 30 – 40 metri cubi al secondo. Questo perché hanno i bacini e le chiuse. In Italia il primo progetto di bacini (si chiamava Simpo 0) è stato preparato nel 1963. Cinque barriere con chiuse che avrebbero garantito la navigabilità dalla Becca al mare, e prodotto energia elettrica. È stata realizzata solo quella di isola Serafini a Piacenza. Sono arrivati Simpo 1 nel 1978 e Simpo 2 nel 1989. Nulla di fatto. E adesso se il livello cala ancora di 10 centimetri, dovrò rifugiarmi nel porto di Viadana». Guarda il sole che tramonta fra i pioppi. «Scriva comunque che questo è uno dei posti più belli del mondo».