la Repubblica, 10 marzo 2019
Quarantamila posti di lavoro per (non) trovare lavoro agli altri
Campione mondiale di creatività, l’Italia ha brevettato un sistema altamente innovativo per combattere la disoccupazione: assumere persone che cercano lavoro ai disoccupati. Quasi mai lo trovano, ma intanto un posto ce l’hanno almeno loro. E pare niente? Non mancano esempi istruttivi. Calabria Lavoro è un’azienda della omonima Regione che per «assistere la Regione nelle funzioni di normazione, programmazione, indirizzo, coordinamento, vigilanza, controllo e verifica nelle materie relative alle politiche attive del lavoro con l’obiettivo di incrementare l’occupazione, etc…» ha una dotazione organica di 324 dipendenti. Non bastasse, negli ultimi due anni ha assegnato 649 (seicentoquarantanove) incarichi di consulenza e collaborazione. Bricioline anche da 200 euro lordi. Ma pur sempre bricioline, distribuite da un ente pubblico il cui timone è stato affidato a un superesperto di motori qual è Giovanni Forciniti, già presidente dell’Automobile club di Cosenza nonché fedelissimo dell’attuale governatore Pd Mario Oliverio, del quale è stato anche assessore ai Trasporti quando questi era presidente della provincia cosentina.
Inutile dire che le sorti della disoccupazione in questo meraviglioso pezzo d’Italia, dove lavora il 40% circa della popolazione attiva contro una media nazionale del 58%, non hanno subito una drastica inversione di tendenza grazie a Calabria Lavoro. Ma è come sparare sulla Croce rossa, commenterà qualche lettore, conscio del fatto che in quella Regione abbondano casi limite. Senza però sapere che di situazioni simili, anche se forse non tutte proprio così evidenti, il Paese è pieno. La Provincia di Potenza ha l’Apof-il, Agenzia provinciale orientamento formazione istruzione lavoro, e così anche la Provincia di Matera: Ageforma, 24 dipendenti e 117 fra orientatori e tutor. Che poi sarebbero una specie dei famosi “navigator”.
Idem la Provincia di Latina, dotata di una propria Latina Formazione Lavoro: 50 dipendenti. E poteva non averla la Provincia di Roma? Come abbiamo già raccontato qualche giorno fa si chiama Capitale Lavoro e ha 163 dipendenti, ma erano 320 fino a un mese fa, quando il ramo d’azienda dei servizi per l’impiego è passato a Laziocrea, Regione Lazio. Un tempo era feudo dell’ultrasinistra, ma adesso che la ex Provincia è in mano alla sindaca di Roma Virginia Raggi, al vertice è arrivata la commercialista Antonella Gobbo, non eletta alle elezioni politiche con il Movimento 5 stelle. L’iniziativa più recente, un corso di formazione per animatori sociali.
Agenzie per il lavoro o loro surrogati sono diffuse un po’ dappertutto, dall’Emilia-Romagna con appena 6 dipendenti, al Veneto con 32. Una società Sicilia Lavoro c’era anche in Sicilia, prima di essere chiusa forse per pudore. I suoi 40 dipendenti sono stati assunti dalla Regione: gli unici ad aver trovato un’occupazione. Non per questo, tuttavia, la Sicilia ha perso il primato di luogo dove la filiera del trova-lavoro-agli-altri risulta la più obesa d’Italia. Qui ci sono circa 1.500 dipendenti nei centri pubblici per l’impiego, quasi un quinto degli 8.189 addetti di quelle strutture impiegati in tutto il Paese. Due volte e mezzo gli addetti della pur massiccia Aspal, l’Agenzia regionale sarda per le politiche attive del lavoro, i cui dipendenti sono passati fra il 2015 e il 2017 da 85 a 627. Ma siccome il carico di lavoro era troppo pesante, quei 1.500 siciliani erano pure affiancati da 1.800 sportellisti a contratto pagati con i fondi europei. Finiti i fondi, sono finiti anche i contratti. E adesso si aggrappano alla speranza di fare i “navigator”.
C’è poi il mondo sterminato della formazione professionale, e anche in questo settore la Sicilia non teme rivali. Un tempo gli addetti siciliani erano circa 8 mila. Oggi sono rimasti in 2.500, che però sono pur sempre la fetta più grossa della formazione pubblica, dove si contano 20 mila dipendenti. Se sommiamo questi agli addetti ai centri per l’impiego e contiamo pure i circa 1.000 dell’Anpal e le migliaia sparsi fra Province e Regioni con il relativo strascico di tutor, consulenti e precari, l’ordine di grandezza di 40 mila persone impegnate nella filiera del trova-lavoro-agli-altri non è così distante. Il che significa una ogni 150 fra disoccupati e inoccupati, che secondo l’Istat assommano a 6 milioni di anime. Ma con risultati decisamente deprimenti in rapporto al costo certamente astronomico, se è vero che i centri per l’impiego trovano lavoro a meno del 2% dei disoccupati che si rivolgono a loro, contro il 7% in Francia e Germania.
Impietoso è il raffronto pubblicato sul sito di Assolavoro, la maggiore delle tre associazioni (le altre sono Assosomm e Alleanza lavoro) che riuniscono le agenzie private. Secondo i suoi dati, ciascuno dei circa 8 mila addetti dei centri pubblici trova lavoro mediamente, in un anno, a quattro disoccupati. Contro i 47 posti (ma bisognerebbe anche vedere la qualità di quei posti) trovati invece da ognuno dei circa 10 mila lavoratori delle 154 agenzie private iscritte all’albo. Già, perché nella filiera ci sono anche loro. E così sfondiamo sicuramente quota 50 mila.
Davvero ci servono altri seimila “navigator”, anziché mettere ordine in questo pandemonio pubblico per fare finalmente funzionare le cose?