Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  marzo 10 Domenica calendario

Verdone in cerca di nuovi tic. Intervista

Lui li chiama «tic, dettagli», ma è da quell’osservazione attenta che sono venuti fuori i suoi titoli più amati, una lunga carrellata di tipi italiani, descritti con affetto ironico e con una punta di malinconia: «La mia anima - dice Carlo Verdone, premiato ieri sera nel gala del «Festival de la Comédie» di Monte Carlo con il trofeo «King of Comedy» -, è predisposta così. Nei film che faccio la comicità convive con una vena leopardiana». 
Pronto per iniziare, a maggio, le riprese della nuova pellicola, e subito dopo per realizzare Vita da Carlo, la serie che lo racconta come artista e come uomo, Verdone ha registrato, tra una risata e un’ombra di tristezza, l’evoluzione di una società che oggi è più difficile da interpretare: «La realtà di adesso non è così cruciale come quella del dopoguerra, degli Anni 60, del boom economico. Il nostro è un momento senza orizzonti nitidi, vediamo solo incertezza, si campa alla giornata, e non c’è più l’umanità di un tempo».
Perché è complicato descrivere tutto questo?
«Prima di tutto a causa dell’omologazione. Le persone sono diventate tutte uguali, stesso taglio di capelli, stessi tatuaggi, stessa abitudine di parlare poco e di camminare con la testa china sui cellulari. Anche nelle periferie, dove sono sempre andato a cercare i miei personaggi, vedo che non ci sono più quelle piccole assemblee che si creavano dentro un bar o nel negozio di un artigiano. Oggi questi spazi non esistono più, si sta per strada, in piedi, e si fanno conversazioni continuamente interrotte da WhatsApp, telefonate, linee che cadono, frasi tipo “aspetta che me’ sposto, qui non c’è campo”».
Di questo panorama mutato fanno parte gli immigrati, che lei aveva inserito nei suoi film già molto tempo fa. Quanto è cambiato il rapporto tra loro e gli italiani?
«Sono persone di altre culture, che vivono con noi, è giusto metterle in campo. Ho scoperto di essere diventato il beniamino dei rumeni e degli egiziani, mi dicono, che grazie ai miei film hanno imparato l’italiano, e mi fa piacere avere questo folto pubblico. Dobbiamo smettere di usare appellativi tipo “l’indianetto”, il “filippinetto”, la “badante di mia mamma”. Sono lavoratori stranieri che abitano qui».
Che rapporto ha con i social?
«Ho un profilo Facebook molto pacato, dei “like” me ne frego, lo uso solo se voglio comunicare qualcosa, per esempio il rispetto per gli anziani, come ho fatto, l’altro giorno, in occasione della morte della mia zia Bettina». 
Di che cosa parla il suo prossimo film?
«Avrà un impianto corale, il tema centrale è in un forte legame di amicizia. Martedì il copione arriverà nelle mani del mio produttore Aurelio De Laurentiis e, da quel momento, inizierà il solito, duro, braccio di ferro che, sinceramente, mi comincia un po’ a sfiancare. Lui ha le sue idee, io le mie, lui legge la storia e la vede in un modo diverso da come io l’ho scritta. Passiamo un sacco di tempo a discutere, è faticoso. Comunque massimo entro la fine di maggio le riprese devono iniziare».
Aveva espresso pubblicamente il suo dispiacere per le condizioni in cui versa la capitale. Come va ora?
«Qualcosa si è fatto, ma restano ancora molti problemi. In alcuni tratti del centro, vicino Piazza Venezia, noi romani che andiamo in moto ci facciamo il segno della croce sperando che vada tutto bene. Spero che la sindaca Raggi metta mano al portafoglio e decida di migliorare la situazione. Quanto all’immondizia, penso che anche noi cittadini dobbiamo applicarci, fare meglio la differenziata».
Una settimana fa, alle primarie del Pd, Nicola Zingaretti ha trionfato. Che ne pensa?
«È una persona seria, perbene, e ha sbloccato una situazione che sembrava immobile. Non è un “inciucione”, e questa è già una buona cosa, potrebbe fare molto, io, come tanti altri, mi fido di lui».