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 2019  marzo 10 Domenica calendario

Al centro di una sfida globale

Il brusco richiamo di Washing-ton a Roma contro la formale adesione al mega-progetto di infrastrutture cinesi attraverso l’Eurasia trasforma il nostro Paese nella frontiera europea della sfida globale fra Stati Uniti e Cina.
Il passo formale dell’amministrazione Trump verso il governo Conte coincide con le indiscrezioni sull’accordo raggiunto fra Pechino e Roma per la firma da parte dell’Italia di un «memorandum di intesa» sulla partecipazione alla «Belt and Road Initiative» destinato ad essere formalizzato in occasione della visita nel nostro Paese del presidente Xi Jinping a fine mese. Se ciò dovesse avvenire, come si augura il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, l’Italia diventerebbe il primo partner del G7 ad accettare di aprire in maniera strategica la propria economia agli investimenti diretti cinesi seguendo l’esempio di Paesi asiatici come lo Sri Lanka e il Pakistan. Se Wang Yi vede nell’adesione di Roma un evento spartiacque è perché spera che «altri Paesi europei aderiscano» consentendo a Pechino di diventare un partner di prima grandezza dell’economia del Vecchio Continente che, nel suo complesso, è la più ricca del mondo. Dal 2008 al 2016 gli investimenti diretti stranieri cinesi in Europa sono cresciuti da 1 a 35 miliardi di dollari con l’epicentro nell’Europa dell’Est e nei Balcani.
In particolare sono due i Paesi che finora hanno consegnato a Pechino infrastrutture strategiche ovvero la Grecia, nel caso del porto del Pireo, e l’Ungheria, con l’accordo per la nuova ferrovia da Budapest a Belgrado. Più in generale, Pechino ha offerto ai Paesi dell’Europa Centrale e Orientale di aderire al patto economico «16 + 1» puntando a creare una cornice di cooperazione alternativa agli accordi con l’Unione europea. È uno scenario che ha già sollevato timori e perplessità a Parigi ed anche a Berlino - primo partner europeo di Pechino - ma Washington vede un allarme ben maggiore, fino ad ipotizzare danni per la Nato, in ragione del fatto che Atene e Budapest dalla sigla delle suddette intese si sono trasformate in due alleati politici de facto di Pechino. La Grecia infatti si è opposta ad una condanna europea delle violazioni dei diritti umani in Cina - impedendo all’Ue per la prima volta di esprimersi in materia - e l’Ungheria si è comportata nello stesso modo nei confronti di una lettera Ue di denuncia delle torture sugli avvocati detenuti nella Repubblica popolare. E ancora: Atene e Budapest hanno impedito di inserire qualsiasi riferimento a Pechino in una dichiarazione Ue sul pronunciamento della Corte dell’Aja in merito ai contenziosi del Mar della Cina Meridionale. Da qui il timore dell’amministrazione Trump che la «Belt and Road Initiative» abbia in Europa un’agenda economica che cela la volontà di creare in realtà un network di alleanze politiche capace di trasformare più Paesi dell’Occidente in tasselli di una ambiziosa sfera di influenza globale di Pechino. Tenendo presenti tali premesse c’è poco da stupirsi per le dichiarazioni di alti rappresentanti dell’amministrazione Usa, raccolte dal nostro Paolo Mastrolilli a Washington, perché il memorandum di intesa in discussione fra Roma e Pechino include settori come le ferrovie, le linee aeree e la cultura destinati a creare una vasta dipendenza del nostro Paese da investimenti diretti cinesi. È uno scenario che moltiplica i timori del nostro principale alleato già più volte espressi sulla possibilità che Huawei posizioni in Italia tecnologia G5 in grado di trasformare la rete di comunicazione dati, rendendola vulnerabile a infiltrazioni straniere.
Per il governo Conte ciò significa aver davanti due opzioni: ignorare le obiezioni di Washington e firmare senza esitazioni il memorandum con Pechino oppure prenderle in considerazione e sfruttare il tempo che manca alla visita di Xi per tentare di armonizzare interessi economici cinesi e legami con l’alleato. Nel primo caso Roma seguirà Atene e Budapest su un sentiero che la avvicina a Pechino e potrebbe mettere in difficoltà i rapporti nel G7, nel secondo l’Italia potrebbe diventare il primo partner europeo capace di dimostrare la compatibilità di rapporti privilegiati con le prime due economie del Pianeta. Resta da vedere se il governo gialloverde, sull’orlo della crisi a causa della Tav, è in grado di affrontare in tempi assai rapidi questa temibile sfida precipitata al centro dei rapporti con gli Stati Uniti ovvero il nostro più importante alleato nonché il mercato più ricco e ambito per le nostre esportazioni.