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 2019  marzo 10 Domenica calendario

Il carcere e l’Oscar per i due attori egiziani

Molti lo ricorderanno nel ruolo di un fondamentalista islamico nel film Syrianacon George Clooney, oppure nei panni di uno sceicco yemenita che vuole avvicinare Oriente e Occidente nella commedia romantica Il pescatore di sogni. Amr Waked, uno degli attori egiziani più famosi all’estero, è noto per essersi schierato contro il regime sin dalla rivoluzione del 2011 (su cui ha realizzato anche un film, L’inverno dello scontento) fino alle critiche per la decisione del generale-presidente Abdel Fattah Al-Sisi di cedere due isole strategiche nel Mar Rosso all’Arabia Saudita. Nei giorni scorsi l’attore, che da un paio d’anni vive tra la Francia e la Spagna, ha rivelato ai sei milioni e mezzo di followers su Twitter di aver paura di ritornare in patria, dove rischierebbe otto anni di carcere per aver diffuso «notizie false» e insultato le istituzioni. Ha spiegato che gli è stato anche rifiutato il rinnovo del passaporto all’estero, con la richiesta di tornare in Egitto, ma non intende farlo finché non ci sarà democrazia e giustizia. 
Migliaia di critici in Egitto sono stati costretti al silenzio attraverso le leggi e le minacce. Dallo scorso luglio le autorità possono servirsi dell’accusa di diffondere «fake news» per chiudere siti internet e profili social con più di 5.000 follower, anche senza bisogno di autorizzazione giudiziaria. Nei giorni scorsi il fotoreporter Mahmoud Abu Zaid, detto Shawkan, è stato scarcerato dopo cinque anni ma 25 giornalisti restano in prigione. Le critiche della stampa estera vengono spesso descritte come parte di un complotto straniero per diffondere il caos in Egitto, mentre il governo sostiene che le misure restrittive delle libertà civili sono necessarie per ricostruire l’economia e combattere il terrorismo. Al Sisi ha più volte suggerito che i diritti politici sono meno importanti del diritto al «pane», a un’abitazione e di altri bisogni primari. Tutto ciò divide gli egiziani, incluse le celebrità. Rami Malek, egiziano-americano, che ha appena vinto l’Oscar come miglior attore nei panni di Freddie Mercury in Bohemian Rapsody, ha elogiato già quattro anni fa Al Sisi in un’intervista con Egypt Independent per aver «salvato l’Egitto dalla guerra civile» e perché «tratta tutti i cittadini allo stesso modo, al di là della religione, la cosa giusta da fare». Malek, nato a Los Angeles da genitori egiziani (il papà da guida turistica al Cairo si era reinventato venditore porta a porta di assicurazioni) appartiene alla minoranza cristiana copta che per lo più appoggia il raìs. 
Dopo la sua vittoria agli Oscar, dove ha ricordato le sue origini, le autorità del Cairo hanno cercato di rivendicare un legame con l’attore, e il ministero dell’Immigrazione ha persino twittato parte del suo discorso. Ma molti, inclusa l’organizzazione dei diritti umani «Human Rights Watch», denunciano l’ipocrisia di queste manifestazioni d’orgoglio: «Rami Malek è stato premiato per aver dato vita ad una icona queer, ma se Freddie Mercury vivesse in Egitto oggi potrebbe essere incriminato per depravazione com’è accaduto a settantasei persone l’anno scorso». Non potrebbe nemmeno essere intervistato dai media, come stabilisce una nuova legge, a meno che non sia un «omosessuale pentito».