Il Sole 24 Ore, 10 marzo 2019
Biografia di Giovanni Pirelli, socialista
«Era il tipo d’uomo che s’incontra di rado. Un signore alto e magro, dal carattere scabro». In questo ricordo di Giampaolo Pansa c’è tutto Giovanni Pirelli. Nato nel 1918, figlio di Alberto e fratello maggiore di Leopoldo, era stato ufficiale degli Alpini durante la Seconda guerra mondiale e poi partigiano. Di idee socialiste, dopo la Liberazione rinuncerà al ruolo predestinato di erede del padre al timone dell’azienda, dedicandosi alla scrittura e alla militanza politica. Morirà tragicamente a 54 anni nel 1973, per i postumi di un incidente automobilistico, lasciando nella sua casa di Varese una quantità di carte – tra inediti, lettere e diari – che soltanto ora trova una ricomposizione organica in una biografia firmata da Mariamargherita Scotti: un lavoro decennale, frutto di capillari ricerche anche in numerosi altri archivi.
Sono tre i volti di Pirelli illuminati da questo scavo. Innanzitutto, c’è il «fuoriuscito di una potente famiglia industriale milanese», come scrisse un acido critico musicale del «Corriere» recensendo nel settembre 1966 la prima assoluta alla Fenice di un’opera “politica” di Luigi Nono (A floresta é jovem e cheja de vida), cui aveva collaborato in vari modi anche Pirelli. L’epiteto di «transfuga borghese» lo accompagnava dal dopoguerra. Alla vigilia delle elezioni del 18 aprile 1948, Indro Montanelli lo annovererà sul «Candido» fra i grandi «traditori» della sua classe, insieme al banchiere umanista Raffaele Mattioli. Ma anche tra i compagni socialisti il rampollo primogenito di una dinastia dal nome tanto ingombrante suscitò qualche imbarazzo iniziale.
La sua scelta di iscriversi nel maggio 1946 al Partito socialista di unità proletaria (come allora si chiamava il partito di Nenni) non fu un fulmine a ciel sereno, bensì il «risultato di un lungo processo di trasformazione causato da eventi storici di portata eccezionale», osserva l’autrice, che nel primo capitolo ripercorre – attraverso una calibratissima «storiografia di precisione» – tutti i passaggi della sua giovinezza passata sotto le armi, senza trascurare i reperti meno edificanti. Come il taccuino del luglio 1941 in cui, «entusiasta» ufficiale della guerra fascista, giustificò pienamente i crimini perpetrati dall’esercito italiano contro la popolazione civile del Montenegro.
Solo la disfatta della campagna di Russia, vissuta nelle retrovie grazie al privilegio degli ufficiali, segnerà un punto di non ritorno, «il crollo di tutte le illusioni, di tutte le speranze», come annotò nel taccuino a fine gennaio ’43. Sotto la Repubblica Sociale, lavorerà prima alla Pirelli e poi alla consociata Superga, forse cominciando già allora a prendere contatti con la Resistenza. All’inizio del ’45, Giovanni otterrà finalmente dal padre il permesso di partecipare alla fase conclusiva della lotta partigiana, commissario politico in una brigata garibaldina della val Chiavenna. Insieme al senso di colpa per essere sopravvissuto all’inferno russo, l’ansia di contribuire alla ricostruzione dell’Italia su posizioni più avanzate fu all’origine del suo impegno a sinistra nel dopoguerra. Il rapporto con il padre, un liberale, ne risentirà ulteriormente, come attestano i loro drammatici scambi epistolari: spaccato di una classe dirigente uscita smarrita dalla ventennale convivenza con il fascismo.
Il secondo volto di Pirelli è quello – oggi ancora noto – di curatore insieme a Piero Malvezzi delle einaudiane Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana(1952) ed europea (1954), due dei maggiori long seller italiani nel secondo Novecento. Qui la biografia della Scotti si trasforma in un saggio di storia dell’editoria, che segue minuziosamente la nascita dei due libri: dalla scelta delle missive all’ardua ricerca di una casa editrice. «Difficilmente», scrisse Tristano Codignola (La Nuova Italia) a Pirelli, «il volume potrà avere un esito sufficiente a coprire le spese, dato l’andamento del mercato, soprattutto per quanto riguarda opere di carattere antifascista». Accogliendo il progetto, l’Einaudi di Giulio Bollati e Italo Calvino si mostrerà assai più lungimirante.
Si trattò, puntualizza Mariamargherita Scotti, di «un’operazione consapevolmente partigiana, in un clima storico-politico di profonda messa in crisi del paradigma resistenziale». Per questo alcuni storici ne contestano oggi la raffigurazione sin troppo eroica della Resistenza, ridotta a martirologio. Le recenti scelte antologiche di Mimmo Franzinelli, Mario Avagliano e Marco Palmieri forniscono un quadro certo più completo di quella stagione. Però la sostanziale correttezza filologica di Pirelli e Malvezzi resta fuori discussione.
Il terzo volto è quello del militante e dell’organizzatore culturale, in una continua tensione dialettica con il proprio partito (abbandonato all’inizio degli anni Sessanta). È la parte forse più innovativa della biografia della Scotti, che documenta per la prima volta la straordinaria varietà di contatti da lui coltivati in una dimensione anche internazionale (dall’Algeria anticolonialista all’incontro con Frantz Fanon, delle cui opere in italiano sarà l’«invisibile editor»). Pirelli ne esce come uno dei più instancabili ed eclettici intellettuali italiani del tempo. Munifico mecenate, finanziatore di movimenti di liberazione, ma pure autore di romanzi, racconti, testi teatrali, soggetti cinematografici e libri per ragazzi.
Importante è anche lo sfondo. Si alternano, in queste dense pagine, studiosi (Gaetano Arfè, Gianni Bosio, Franco Fortini, Raniero Panzieri, Stefano Merli), testate («Nuovo Canzoniere Italiano», «Mondoperaio», «Quaderni Rossi»), case editrici («Edizioni Avanti!», «Edizioni del Gallo») e istituti (Ernesto de Martino). Tutti nomi che richiamano il tema della cultura fiorita all’ombra della sinistra interna del Partito socialista, cui l’autrice ha già dedicato un libro apripista (D a sinistra. Intellettuali, Partito socialista italiano e organizzazione della cultura, 1953-1960, Ediesse, 2011). Una cultura senz’altro più libertaria e meno dogmatica di quella comunista, ma talvolta prigioniera di un ingenuo populismo e di un ossimorico riformismo anticapitalista. Molte delle sue istanze confluiranno nella sinistra extraparlamentare, mentre il Psi si annacquerà via via nella stanza dei bottoni.