Il Sole 24 Ore, 10 marzo 2019
Napoleone, ladro di storie altrui
Non è Lui il protagonista principale di questo libro. Non compare quasi mai sulla scena, sta sempre dietro le quinte. E quando si affaccia sulla pagina lo si trova sui campi di battaglia a Wagram, mentre sta firmando il trattato di pace con l’Austria o il decreto che sancisce la fine del potere temporale dei Papi o, ancora, mentre è occupato a dare ordini ai suoi ministri impegnati nella creazione di ciò che doveva diventare il segno più alto del suo potere e della sua leggenda: la fondazione di un archivio universale, ovvero del più grande deposito della civiltà umana mai realizzato. Una collezione impareggiabile di libri, opere d’arte, arredi, strumenti scientifici, carte e documenti che, sparsi fino a quel momento in ogni parte d’Europa, dovevano essere trasportati a Parigi e affiancarsi alle grandi istituzioni scientifiche della città, al museo del Louvre e alla Biblioteca Imperiale.
Sempre in cerca di simboli, lettore avido di storie antiche e moderne, dopo la conquista del mondo Napoleone si preparava a conquistare anche la Storia. E lo faceva avvalendosi di decine di funzionari, uomini di lettere, impiegati e commissari fedelissimi, che con rigore e tenacia dedicarono ogni loro energia alla realizzazione di questo inaudito progetto.
Come ci spiega Maria Pia Donato, «questo libro racconta un’impresa titanica, forse la più folle tentata da Napoleone e da un impero in cerca di radici. Un grande sogno che nasceva dalla consapevolezza che chi possiede gli archivi, possiede la Storia. E chi possiede la Storia, controlla la visione del futuro». I protagonisti di questa appassionante vicenda non sono dunque generali di armata, ministri, governatori e diplomatici di alto rango. Sono bibliotecari, archivisti, storici dell’arte, paleografi, cartografi, esperti collezionisti e raffinati conoscitori di pergamene, monete antiche, scritture contabili e giudiziarie. E i loro nomi, anche quelli rilevanti, sono sconosciuti ai più: Dominique Vivant Denon, direttore del Louvre, Antoine-Alexandre Barbier, bibliothécaire particulier dell’imperatore, Pierre-Claude-François Daunou, archivista capo, nominato nel 1804 da Bonaparte Garde des Archives.
Siamo nella primavera del 1809. Il 13 maggio 1809 Vienna veniva occupata dall’esercito napoleonico. Poche settimane più tardi Denon era già al lavoro, a ispezionare i palazzi del Belvedere e di Schönbrunn e a compilare l’elenco di centinaia di quadri, medaglie, sculture, mosaici da inviare a Parigi. L’ordine era perentorio: i commissari dovevano prendere tutto ciò che riguardava la Francia e i paesi «ceduti, confederati o alleati dell’impero francese». Una definizione quanto mai ambigua che di fatto coincise con una vera e propria spoliazione.
Lo stesso accadde sul versante italiano e spagnolo. Ma mentre la decisione di trasportare a Parigi gli archivi di Simancas si realizzò in piccola parte, solo 212 casse giunsero a destinazione, l’ordine dato da Napoleone il 10 gennaio 1810, e cioè di far imballare tutti gli archivi della Santa Sede e di spedirli in Francia sotto buona scorta, venne eseguito alla lettera. Fu un’operazione di dimensioni gigantesche. Alla fine di gennaio erano già pronte per essere inviate a Reims 1.470 casse e all’alba del 18 febbraio i primi dodici carri lasciarono Roma e imboccarono la via Cassia verso Firenze e Torino.
Maria Pia Donato riesce a descrivere nei più minuziosi dettagli questo lungo e faticosissimo viaggio. E ha la capacità, come sanno fare gli storici che lavorano su documenti di prima mano, di coinvolgere il lettore in questa straordinaria odissea. Tra febbraio e maggio partirono altri diciotto convogli, trasportando oltre duemila casse e seguendo, per motivi di sicurezza, quattro itinerari diversi. L’impegno economico fu imponente, con una spesa che si aggirò attorno ai 340mila franchi. E quando a maggio i primi convogli arrivarono a Parigi ad attenderli c’era Daunou: il “mio archivista” come lo chiamava Bonaparte, il grande regista di tutte le operazioni e protagonista assoluto del libro. Repubblicano liberale, giornalista, bibliotecario e professore di bibliografia all’École Centrale di Parigi, Daunou vedeva nel piano dei Grandi Archivi la realizzazione del progetto illuminista che privilegiava la storia universale rispetto alle storie nazionali. Sotto Napoleone, l’eterno sogno dell’umanità di un deposito universale delle conoscenze poteva diventare realtà.
Per queste ragioni nell’agosto del 1811 affrontò un lungo viaggio in Italia allo scopo di redigere uno scrupoloso catalogo del materiale documentario da requisire e trasportare nella capitale dell’Impero. Negli stessi mesi in cui il direttore del Louvre era impegnato nelle città della Toscana e dell’Umbria a confiscare dipinti di Cimabue, Giotto, Beato Angelico, Filippo Lippi, l’archivista capo visitava Genova, Firenze, Siena, Pisa, Perugia a caccia di corrispondenze diplomatiche, pergamene, atti notarili, fondi nobiliari, statuti di antichi comuni medievali. Che nella maggior parte dei casi – a differenza delle opere d’arte – non riuscì mai a ottenere.
La prima pietra del Palazzo degli Archivi venne posta il 15 agosto 1812, lo stesso giorno della celebrazione della festa di san Napoleone. L’imperatore in persona aveva scelto il disegno del grandioso edificio e il luogo dove doveva sorgere, tra gli Champs-Élysées e la collina di Chaillot. Il costo preventivato ammontava a venti milioni di franchi. Ma un anno dopo, nella primavera del 1813, i ritardi degli invii dei materiali, soprattutto quelli provenienti dalle città italiane, si stavano accumulando ogni giorno di più. Intanto la guerra infuriava e i sogni imperiali di Napoleone e del suo archivista stavano drammaticamente crollando. La costruzione di questa grande cattedrale della storia subì un drastico ridimensionamento per poi, nel 1815, essere definitivamente abbandonata dal nuovo re di Francia, Luigi XVIII, proprio mentre gli archivi trafugati, non tutti però, riprendevano lentamente la strada di casa.
Ci vollero trent’anni perché il faldone del processo di Galileo tornasse a Roma, al suo posto, nell’Archivio Segreto Vaticano.