Tuttolibri, 9 marzo 2019
Storia del geniale spin doctor che fece vincere Bush senior
Nel territorio del diavolo è il settimo capitolo di un’ambiziosa saga in dieci romanzi che Antonio Monda sta dedicando al Novecento newyorchese, una lettera d’amore per ciascun decennio del secolo scorso inviata dall’autore alla città che lo ha accolto, dove sono cresciuti i suoi figli, dove è diventato un’istituzione culturale. New York è la protagonista dell’opera: spietata, esclusiva ma anche di tutti, con la sua luce cristallina e la sua vita nascosta, con i rumori della notte e gli sbuffi dei radiatori, con le sirene dei pompieri e i treni che sferragliano sottoterra, in un’armonia di tradizioni, odori e passioni che, come lascia intendere Monda, trova una sintesi originale e culturalmente autentica nel mondo variopinto dei ristoranti della città.
New York è il pretesto perfetto, perché il Monda narratore è attratto dalle gesta dei peccatori, ama mettersi dalla parte del diavolo, fin dal titolo che è un omaggio alla grande scrittrice cattolica Flannery O’Connor, gli piace scandagliare nel torbido, raccontare il male, trovarsi in partibus infidelium, perché crede che lì, dove si commette il peccato e si manifesta il senso di colpa, soltanto lì, ci possano essere redenzione e possibilità di riscatto. Non esiste uno scenario migliore della New York degli anni 80 per diradare la caligine che copre i vizi e le perversioni umane e per ambientarvi una piccola storia di riscatto personale dentro una grande storia di redenzione pubblica. Gli anni 80 sono gli anni della strage per Aids, delle maschere sessuali che cadono e della politica che per pudore e balordaggine non muove un dito per affrontare l’epidemia del virus HIV.
L’io narrante di Nel territorio del diavolo è Alexander Sarris, trentenne di origini greche che inizia a mostrare a sé stesso prima ancora che al mondo l’orgoglio di essere omosessuale. Frastornato dal desiderio e dal senso di colpa per quella che il padre chiama «condizione», ma anche perché si sente un imperdonabile superstite della nuova peste, Sarris lavora per il più abile e temuto degli strateghi politici d’America, Lee Atwater, detto Boogie Man, l’orco.
La storia che racconta Monda, e che turba il suo protagonista, è vera: Atwater è l’uomo che confeziona la vittoria di George Bush senior sul governatore del Massachusetts Michael Dukakis, di origini greche come Sarris. Dukakis comincia a perdere consensi e fiducia quando Atwater produce uno spot intitolato «porte girevoli» con cui lega il nome del governatore al volto di un efferato criminale afroamericano, l’ergastolano Willie Horton che, durante un permesso premio ottenuto grazie a una norma del governatore Dukakis, ha stuprato una ragazza.
Un attacco violento, personale, ingiusto e dai toni razzisti, il marchio di fabbrica di Boogie Man, il quale con «porte girevoli» si era ripromesso di manipolare le coscienze degli americani fino a convincere gli elettori che Willie Horton fosse il candidato vicepresidente di Dukakis. Bush viene eletto trionfalmente, ma ad Atwater viene diagnosticato un tumore al cervello. Aveva 39 anni, morirà a 40, nel 1991. Intorno alle lettere di scuse che negli ultimi mesi di vita Atwater ha realmente scritto alle sue vittime, compreso Dukakis, Nel territorio del diavolo ricostruisce un immaginario percorso di redenzione dell’orco cattivo, fino a spingersi a suggerire una latente omosessualità di Atwater che comunque non si manifesta mai oltre il rapporto di grande fiducia con il protagonista.
Monda racconta Boogie Man senza moralismi, lasciando parlare le sue efferatezze, quasi ammaliato dalla freddezza e dal cinismo, una condizione necessaria per conferire solennità e gloria aggiuntive alla presunta conversione finale di Atwater. Un delicato happy ending cristiano in cui l’anima si salva e i peccati si espiano, malgrado i colleghi di Atwater, come Mary Matalin, poi consigliera di Dick Cheney, sostengano che la Bibbia che il prete gli aveva portato sul letto di morte in realtà sia rimasta impacchettata e che la conversione sia stata l’ultima, magnifica, impostura orchestrata da Boogie Man.
Monda mostra invece compassione per il suo Atwater anche per dissociarsi da quel senso di superiorità antropologica che una certa parte del mondo intellettuale e progressista è solita esprimere nei confronti di chi la pensa in modo diverso o non frequenta i circoli giusti. Non è una piega populista, questa dello scrittore, al contrario è una dichiarazione d’amore nei confronti della politica tradizionale, anche se fatta di «sangue e merda» come diceva Rino Formica. Monda lo dimostra dedicando il romanzo a un ministro della Prima Repubblica, a suo zio Riccardo Misasi. In tempi di antipolitica, è una dedica non banale e coraggiosa.