La Stampa, 9 marzo 2019
Intervista a Kim Rossi Stuart
Prima di tutto i capelli. Scriminatura nel mezzo e basette da coatto per il Freddo di Romanzo criminale; onda fluente e baffetti da guappo per il bel René Vallanzasca. E poi notte e giorno con gli auricolari per imparare il lumbard con il tono strascicato e la rotazione delle r. Il segreto è nella cura del dettaglio per Kim Rossi Stuart che, per portare sullo schermo il malavitoso romano, il delinquente nato all’ombra della Madonnina o Lucignolo, l’allampanato amico di Pinocchio, studia e ristudia in un rituale fatto di vocazione e di passione. «Ogni volta è una guerra con me stesso, un impegno che richiede un’estrema concentrazione» spiega l’attore, che a ottobre compirà i suoi primi 50 anni e che mantiene intatto il suo fascino da sex simbol.
È il divo-antidivo del nostro schermo, Kim. E lo dimostra anche con la sua prima avvincente prova narrativa, Le guarigioni (La nave di Teseo). Sono storie di ordinaria follia queste narrate da Kim, che deve il suo nome all’omonimo eroe di Rudyard Kipling, di cui era un accanito lettore suo padre, l’attore Giacomo. I personaggi di Rossi Stuart imboccano in maniera drammatica il tunnel della depressione: dal marito vittima dell’opprimente gelosia della consorte alla protagonista de Il chiodo che, dopo un viaggio a Medjugorje, rimane soggiogata da strane visioni, fino all’ossessivo Maniaco inesistente.
QuesteGuarigionila coinvolgono in prima persona?
«C’è molta invenzione. Ma anche molta autobiografia. Il racconto La lotta ad esempio ha come protagonista un padre, Renato, che ha messo su un maneggio. Proprio come aveva fatto mio papà che, dopo aver girato molte pellicole, si è dedicato ai cavalli».
Una narrazione choc: Renato è molto severo, quasi crudele con suo figlio, che vuol far diventare «un vero uomo». Come mai?
«Mio padre è stato un mix di tenerezza e di eccessi di severità. Questo racconto è un avvertimento a chi oggi è genitore. Rispetto al passato la figura del padre ha perso autorevolezza. Io ho un bambino di 7 anni (avuto dall’attrice Ilaria Spada con cui è appena convolato a nozze, ndr.). I genitori devono impegnarsi per far rispettare le regole».
Per tornare alle sue personaliGuarigioni?
«Il titolo trae spunto dalla mia esperienza: quando ho esordito per il grande schermo ero timido e impacciato. Ho però proseguito con ostinazione. Ogni mestiere - e ogni film nel mio caso - contiene un nucleo rigenerativo: aiuta a guarire da se stessi e dalle proprie nevrosi. Sono stato un ribelle connotato anche da un fortissimo senso del dovere. L’adolescenza l’ho trascorsa non nella Capitale ma a Mazzano Romano dove si erano trasferiti i miei genitori. Aiutavo papà al maneggio, e poi via! Mi sentivo in prigione e scappavo in città. L’attore l’ho fatto fin da piccolo, da quando il regista Mauro Bolognini mi fece recitare in Fatti di gente perbene a suon di cioccolatini. Ma il vero appuntamento con la macchina da presa è arrivato facendo l’autostop. Mi prese sulla sua automobile il produttore Pietro Valsecchi. Mi propose di fare un provino e io accettai».
Da quel momento ha infilato un successo dietro l’altro. ConAl di là delle nuvole,Pinocchio,Le chiavi di casa,Piano, solo,Questione di cuore,Anni felicie altre pellicole.
«La mia prima palestra è stata la scuola di recitazione. Ho avuto un’insegnante bravissima che ha sfornato talenti come Paola Cortellesi e Claudio Santamaria. Era soprattutto un apprendistato di umanità e di umiltà. Ma la mia vita professionale è stata molto dura».
Come mai?
«A 15 anni sono andato a New York. Avevo pochissimi quattrini raggranellati interpretando un film di Luigi Magni. Non conoscevo nessuno e non parlavo l’inglese. Lo riconosco: sono stato molto audace e anche un po’ folle. Ma Volevo incontrare Robert De Niro, Al Pacino e visitare l’Actors Studio. E sono riuscito a stringere la mano a Pacino. In America ho fatto il cameriere e poi mi sono dedicato ai cavalli di una fattoria in Pennsylvania».
I suoi maestri nel mondo del cinema?
«I miei registi sono stati eccezionali insegnanti di arte e di vita: a cominciare da Gianni Amelio, gran docente d’improvvisazione. Io sono sempre stato uno sgobbone, preoccupato di uscire da me stesso per aderire al personaggio. Per Le chiavi di casa Amelio mi disse: “Non preparare nulla!”. Ho obbedito ed è stato tutto fantastico. Con Michele Placido, il re della regia, mi sono sentito materia plasmabile: terminate le riprese, quando sei ancora immerso nel fuoco di fila delle sue trovate, Michele ti dà una pacca sulla spalla e ti porta al ristorante. Antonioni era meraviglioso e bravissimo nonostante avesse avuto un ictus: Wim Wenders lo aiutava con grande affetto ed era il suo angelo custode. Benigni veniva dal successo stratosferico de La vita è bella e in Pinocchio ha insegnato a tutti a lavorare in sintonia».
Le sue esperienze con le partner sul set?
«Con Anna Galiena ho interpretato Senza pelle. È un’attrice attraente con cui ho condiviso mesi complicati e lei era sempre perfetta, senza capricci, professionale e spontanea».
Quale nuova prova l’aspetta?
«A giugno girerò il nuovo film di Gabriele Muccino, I migliori anni della nostra vita, con Micaela Ramazzotti. Sarò un professore di Lettere in una pellicola dedicata a grandi amori e grandi amicizie. Anche questa, per me, sarà una nuova avventura verso la “guarigione”».