la Repubblica, 9 marzo 2019
La guerra elettrica in Venezuela
La luce è scomparsa all’improvviso. A catena. Stato dopo Stato. Miranda, Barquisimeto, Táchira, Caraboto. Ventidue in tutto. Non il classico apagón ( un blackout), come ne accadono molti, purtroppo, da oltre un anno. Ma un blackout completo, imponente, che ha fatto piombare al buio l’intero Venezuela.
Erano le cinque di giovedì pomeriggio, orario critico, con il sole che scompare di colpo a queste latitudini e la gente che esce dal lavoro per tornare a casa. Caracas sembrava una città spettrale. Senza energia elettrica, era avvolta da un mantello nero. Chi era per strada si è dovuto fare largo a piedi, guardandosi le spalle, con le bande di criminali in agguato. La metropolitana ha interrotto il servizio e questo ha mandato in crisi la mobilità. Chi poteva si è arrangiato con mezzi di fortuna: autobus e camion. Non funzionava la rete cellulare, interrotta quella internet. L’aeroporto di Maiquetía ha sospeso l’attività e tutti i voli sono stati cancellati. Anche i negozi hanno smesso di lavorare: la penuria di denaro, l’aumento quotidiano dei prezzi, costringono a usare le transazioni elettroniche. Ma senza luce era impossibile. Per non parlare degli ospedali, già in condizioni precarie, che hanno dovuto lavorare nell’oscurità, con le incubatrici dei neonati alimentate a mano e le macchine dei malati terminali dai pochi generatori di emergenza.
Nel pieno di una grave crisi politica (ed economica), il Venezuela ha vissuto una notte campale. Un guasto alla centrale di Guri, nello Stato di Bolívar, una delle maggiori in America Latina, seconda solo a quella di Itaipú, al confine tra Brasile e Paraguay, ha mandato in tilt tutto il sistema di alimentazione elettrica.
Non si conoscono ancora le cause. Ma il più grande apagón nella storia recente del Venezuela ha subito scatenato una guerra di dichiarazioni. Una guerra elettrica. Il governo di Nicolás Maduro, tramite la Corporazione Elettrica Nazionale, ha denunciato un «sabotaggio». «Una guerra elettrica annunciata e diretta dall’imperialismo statunitense», ha dichiarato Maduro su Twitter. Il ministro dell’Energia, Luis Motta Domínguez, ha evocato anche lui la guerra elettrica: «Questa volta hanno attaccato la produzione e la distribuzione della centrale di Guri». Il ministro della Comunicazione, Jorge Rodríguez, fedelissimo di Maduro, ha definito il blackout «un sabotaggio criminale, brutale». A Maduro e al suo governo ha risposto il segertario di Stato americano Mike Pompeo: «La mancanza di elettricità e la fame sono il risultato dell’incompetenza del regime di Maduro». Mentre il presidente dell’Assemblea Nazionale, Juan Guaidó, ha replicato, secco: «Il Venezuela sa bene che la luce tornerà quando cesserà l’usurpazione. Andiamo avanti».
I social network, per chi aveva ancora internet e i cellulari carichi, si sono riempiti di commenti e foto drammatiche soprattutto nei reparti neonatali degli ospedali. Il governo ha ricordato che a febbraio c’erano stati altri due presunti sabotaggi agli impianti negli Stati di Anzoátegui e Miranda. Gli esperti, così come l’opposizione, parlano invece di mancati investimenti e zero ristrutturazione. Non solo per le sanzioni che fanno mancare i pezzi di ricambio, ma accusano una cattiva gestione. Il buio ha costretto Maduro ieri a far chiudere scuole e uffici. Il paradosso di una tragedia. Il paese con la riserva di petrolio più grande al mondo paralizzato perché non ha più luce artificiale.