Il Messaggero, 9 marzo 2019
Il diabolico Gesualdo
Chi non ha la musica nel cuore scriveva Shakespeare è disposto alla turpitudine, all’odio e all’inganno. Dovremmo dedurne che chi ama opere e sinfonie è incline alla gentilezza e alla pietà, ma sappiamo che non è così. La storia è ricca di melomani assassini, e Reinhard Heydrich, il peggior boia di Hitler, era un ottimo violinista. Ma se la musica non rivela l’anima di chi l’ascolta, dovrebbe almeno esprimere quella di chi la compone. In effetti Bach era un rigoroso luterano, Beethoven un titanico rompiscatole e Mozart un gaudente trasgressivo. Il primo attenuava la sua religiosità con cantate profane; il secondo addolciva la sua scontrosità con il lirismo dei largo e degli adagio dei concerti e dei quartetti; e il terzo compensava le sue tendenze coprofile con sentimentalismi incantevoli. Ma nessuno sconfessava la propria ispirazione con comportamenti criminali. Come invece fece Gesualdo da Venosa, l’autore di madrigali e musiche sacre che ancor oggi commuovono, per dolcezza e religiosità, i cuori più ruvidi, e che trucidò la moglie in modo premeditato e brutale.
Carlo Gesualdo, principe di Venosa, era nato nel 1566, e aveva sposato, previa dispensa pontificia, la cugina Maria D’Avalos, di nobile ascendenza spagnola. Alta, bionda e con gli occhi azzurri era considerata la più bella donna del regno, e si diceva che nessuno potesse avvicinarla senza esserne fulminato dal fascino intrigante.
LE RAGIONI
Era rimasta vedova giovanissima, e pare soffrisse di una sorta di ninfomania. Oggi la psicanalisi si scatenerebbe sulle ragioni oscure di questo desiderio di autoaffermazione nei confronti del sesso maschile. Sta di fatto che, nonostante Gesualdo fosse a letto tutt’altro che inattivo, Maria D’Avalos si innamorò del duca d’Andria, Fabrizio Carafa, bello e ardente quanto lei. Il mondo napoletano non era quello della corte parigina, dove l’adulterio era tollerato purché fosse protetto dalla discrezione; l’infedeltà era vista come un oltraggio al casato, e diventava un affare sociale, se non addirittura politico. I due giovani amanti, sfidando tutte le regole, aggiunsero al crimine l’imprudenza, e la loro relazione cominciò a trapelare.
SENTIMENTI
Carlo Gesualdo offeso nei sentimenti e ancor più nell’orgoglio organizzò la vendetta : finse di partire per la caccia, e in piena notte ritornò con i suoi bravi al castello dove Maria e Fabrizio amoreggiavano ignari: furono tratti, nudi, dal letto, e portati davanti al principe giustiziere. Il giovane duca fu trafitto dalla alabarde degli sgherri, e la donna fu squartata dalla spada del marito.
Gesualdo non affrontò un processo. L’immunità gli derivava dalla carica nobiliare, che lo esentava dalla giurisdizione ordinaria, ma soprattutto dalle circostanze e dai motivi del crimine. La flagranza di adulterio della moglie era considerata una causa di giustificazione, sia per la tempesta emotiva provocata nella mente del coniuge tradito sia, e forse principalmente, per il rischio di una maternità che avrebbe introdotto in famiglia un erede illegittimo. Due elementi che sarebbero stati valorizzati anche nel nostro codice penale quello ancora vigente – che originariamente contemplava il cosiddetto delitto d’onore; la nostra imperfetta democrazia dovette aspettare il 1981 perché questa vergogna fosse eliminata. Ma torniamo al nostro principe musicista.
Affrancato dalla giustizia umana e assolto da quella divina, Carlo era tuttavia esposto alla vendetta dei Carafa, una famiglia ricca e potente legibus soluta quanto lui. Prudentemente si rintanò nel suo castello, rinforzò i bastioni e rase al suolo la foresta circostante per osservare meglio eventuali movimenti ostili. Ma né i Carafa né i D’Avalos sembravano ansiosi di una guerra tra clan. La moglie del morto, piissima e forse sollevata dall’eliminazione di un marito capriccioso e infedele, concesse il suo perdono e, come si conveniva tra famiglie altolocate, tutto finì con reciproche cerimoniose riverenze. Dopo tre anni, dedicati alla composizione di responsoria e madrigali, Gesualdo parti per Ferrara per impalmare Eleonora d’Este, evidentemente poco impressionata dai sanguinari precedenti del promesso sposo. Lei gli rimase fedele, e lui sostituì definitivamente la spada con gli spartiti.
DIMENTICATO
Ma quell’omicidio era troppo cruento per restare dimenticato. Brantome lo citò subito nella sua Histoire des dames galantes aggiungendo il macabro particolare che i cadaveri sarebbero stati volutamente lasciati esposti, nudi e squarciati, per l’intera notte sulla scalinata del palazzo. Le ricostruzioni fiorirono nella morbosità plebea, arricchendosi di particolari tanto improbabili quanto scabrosi: la leggenda più turpe fu quella che un prete domenicano, da tempo ossessionato dalla bellezza della castellana, avesse profanato il suo corpo senza vita. Una bestalità in tutti i sensi, che persino lo scettico Anatole France avallò in un suo racconto, meritandosi i rimbrotti di Benedetto Croce. In realtà i due poveretti ebbero una sepoltura cristiana, ed in loro memoria furono erette cappelle, dipinte pale, e celebrate cerimonie espiatorie. La nobiltà del tempo, quando non andava in Paradiso in carrozza, trovava comunque la via spianata dalle indulgenze.
Carlo Gesualdo morì giovane, a soli 47 anni. Forse non riuscì mai a convincersi che la sua azione, quasi obbligata dai costumi dei tempi e dalle regole del casato, fosse in linea con i precetti della sua religione. Espiò il suo delitto con una vita ritirata e, a modo suo, certosina e frugale, componendo nuove armonie che conclusero un ciclo estetico e ne iniziarono uno nuovo. Le note erano state a lungo compresse in una scansione monodica, appena scalfita dalla nascente polifonia.
Dopo le meraviglie del Gregoriano, la musica chiedeva nuovi spazi, nuovo respiro, e nuove potenzialità espressive. Gesualdo da Venosa aprì questi orizzonti e liberò energie silenti: spremette dalla voce umana ogni possibile variazione, e ne esaurì l’autonomia, rivelando l’esigenza di una accompagnamento strumentale sempre più complesso. Il lascivo suono del liuto, così disprezzato da Riccardo III, cedette definitivamente alla versatilità degli archi e soprattutto dei violini. Di lì a poco, il contrappunto di Bach avrebbe donato al mondo le Messe e le Passioni che avrebbero consolato le afflizioni di un mondo ostile. E di fronte a questi capolavori, che forse non sarebbero mai nati senza Gesualdo da Venosa, possiamo anche guardare con compassionevole indulgenza ai tradimenti di Maria e alla vendetta del suo carnefice.