la Repubblica, 9 marzo 2019
Alessandro Melis alla Biennale d’Architettura
meridionalix
Cambia decisamente registro il Padiglione Italia della Biennale architettura. Ieri il ministero per i Beni culturali ha annunciato che il curatore dell’edizione 2020 della rassegna sarà Alessandro Melis, classe 1969, un insegnamento all’università di Portsmouth, in Inghilterra, e una disposizione alle tecnologie innovative coniugata a una forte sensibilità ambientale. Il profilo del curatore si smarca da quello di chi lo ha preceduto nelle ultime due edizioni del Padiglione Italia, i Tam Associati, attenti all’impegno sociale in architettura, e Mario Cucinella, che ha puntato sugli interventi nelle aree interne del Paese. Il progetto di Melis, scelto in una rosa di cinque, ha per titolo “Comunità resilienti”. I temi che saranno affrontati sono dunque legati a quanto l’architettura può, e deve, fare per fronteggiare i mutamenti climatici, per rendere i tessuti urbani sempre meno energivori e anzi «in grado, da soli, di generare tutta l’energia pulita necessaria a soddisfare ogni bisogno, di conservarla e distribuirla in modo intelligente». Sono parole dello stesso Melis in un articolo di un paio di anni fa, nel quale si auspica un’architettura che sviluppi ricerca in zone fino a oggi ignorate dai progettisti, e richiamando in auge una tradizione tutta italiana della disciplina «sempre fondata sulla poligrafia». Il progetto per il Padiglione Italia ricalca il lavoro che Melis conduce a Porthsmouth, specificamente dedicato all’innovazione tecnologica nel campo della progettazione climatica ed ambientale. Tenendo presenti gli interventi necessari a scala urbana. Nell’articolo già citato, in un paragrafo intitolato Zero volume, Melis sostiene che «l’Italia potrebbe diventare la prima nazione a restringere le linee perimetrali delle proprie città e ad incrementare le superfici coltivabili». I numeri sono rilevanti, aggiunge l’architetto, e necessitano una radicale autocritica: «Circa il 60 per cento delle emissioni di Co2 dipendono dal modo in cui gli architetti hanno pensato l’architettura delle città negli ultimi cent’anni». Ancor più drastica la clausola: «Le visioni sono più importanti della pratica professionale consolidata che ha invece contribuito a rendere l’architettura la principale sfida alla sopravvivenza umana».