la Repubblica, 9 marzo 2019
Un paradiso di coralli nel mare della Puglia
meridionalixBARI Cercavano banchi di ostriche sommersi e hanno trovato una barriera corallina a due chilometri dalla costa pugliese di Monopoli. Una formazione di madrepore ma priva di “alghe simbionti”, che vive autonomamente in ambiente crepuscolare e in acque fredde, differenziandosi per queste caratteristiche dalle scogliere equatoriali. A rendere importante la scoperta del pool di Giuseppe Corriero – direttore del dipartimento di Biologia marina dell’Università di Bari – è l’esistenza di un’unica barriera corallina con queste caratteristiche in tutto il mondo, ubicata a 200 metri di profondità nel Mar Rosso. Una sola. Proprio in virtù di tale consapevolezza, quando due anni fa una collaboratrice di Corriero ipotizzò la scoperta, il professore saltò dalla sedia. Perché quella scogliera di madrepore nessuno l’aveva mai vista né cercata e anche i ricercatori degli atenei di Bari, del Salento e di Roma-Tor Vergata, nel mare davanti a Monopoli erano scesi per mappare praterie di corallo rosso. Il progetto era finanziato dalla Regione Puglia tramite fondi europei e copriva centinaia di chilometri quadrati di Adriatico, passati al setaccio con robot filoguidati. «Le ricerche avvenivano su una quota batimetrica di 30-40 metri – ricorda Corriero – finché, guidati da un’intuizione indefinibile, ci spingemmo fino a 55 metri». All’epoca furono registrate centinaia di ore di filmati, molti dei quali archiviati in hard disk dell’università barese senza che qualcuno avesse materialmente il tempo di visionarli. Finché la ricercatrice tarantina Frine Cardone si incaponì a rivedere tutti i frame per cercare delle scogliere di molluschi bivalvi, su cui concentrava il suo studio, e trovò invece la formazione corallina. «Appena ho visto il video sono saltato, – spiega il direttore del dipartimento – sono andato a bere un bicchiere d’acqua, mi sono stropicciato gli occhi pensando di sognare e poi l’ho riguardato». La barriera era lì. A poche decine di miglia dal Canale d’Otranto, quasi nel punto più stretto del Mar Adriatico, dove ogni giorno passano centinaia di mercantili, pescherecci, traghetti e navi da crociera. Lì dove la temperatura dell’acqua non sale mai sopra i 17 gradi, dove i raggi del sole giungono flebili, dove le correnti che giungono dal nord fanno confluire il materiale che arriva dal delta del Po. Un luogo finora inesplorato, come la maggior parte delle aree circostanti, dove Corriero non esclude la barriera si possa estendere, «probabilmente da Bari fino a Otranto». Per scoprire se tale ipotesi corrisponda a realtà sarà necessario avviare un progetto più ampio di ricerca, tappa obbligata dopo la pubblicazione dell’articolo dal titolo “A Mediterranean mesophotic coral reef built buy non-symbiotic scleractinians” sul numero del 5 marzo di Scientific Reports, rivista di settore edita da Nature Publishing Group. Per sintetizzare la scoperta in quelle pagine, i quattordici firmatari (oltre a Corriero e Cardone, Cataldo Pierri, Maria Mercurio, Carlotta Nonnis Marzano, Senem Onen Tarantini, Maria Flavia Gravina, Stefania Lisco, Massimo Moretti, Francesco De Giosa, Eliana Valenzano, Adriana Giangrande, Maria Mastrodonato e Caterina Longo) hanno incrociato dati, immagini e numeri per un anno. Il rov ha girato altri filmati e un robot subacqueo ha rilevato anche campioni biologici, che sono stati analizzati. Nell’habitat circostante la barriera è stata evidenziata minore ricchezza di pesce rispetto a quella delle formazioni equatoriali, ma per Corriero «esistono elementi, quali l’ingente deposito di carbonato di calcio, l’accumulo di migliaia di anni, l’estensione per molti chilometri, che innescano una biodiversità marina importante». E già fanno suonare i campanelli d’allarme per la necessità di individuare forme di protezione per il sito. Perché in quella zona la pesca è attività molto diffusa, «e, a questo punto, anche pericolosa» dice il professore, che ha già allertato l’Ufficio parchi e biodiversità della Regione Puglia. L’iter per l’istituzione di una zona protetta, del resto, è tortuoso e anche piuttosto lungo, mentre la diffusione della notizia della scoperta ha già suscitato molta curiosità. Nella sola giornata di ieri, tra le centinaia di telefonate ricevute da Corriero, ce ne sono state anche tre da parte di titolari di altrettanti diving, alla ricerca di consulenza scientifica per immersioni sulla barriera. A dimostrazione che «se la cosa sarà ben gestita, potrà diventare anche un volano importante per il turismo».