Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  marzo 08 Venerdì calendario

Un manuale per leggere i geroglifici

Fu il dio Thot a insegnare agli Antichi Egizi la scrittura. Lo fece, racconta Socrate a Fedro nel dialogo riferito da Platone, perché «questa conoscenza maestra renderà gli Egiziani più sapienti e più atti a ricordare, poiché si è trovata la medicina della memoria del sapere». Platone pensava invece che da quella decisione del dio non sarebbero derivati altro che guai. La scrittura avrebbe permesso a tutti di leggere molte cose, ma senza insegnamento: «Crederanno di conoscere molte cose, ma in realtà non le sapranno. Sarà difficile discorrere con essi, perché saranno portatori di opinioni invece che sapienti». 
Oggi, al tempo dei talk-show televisivi e della conoscenza diffusa da Internet, è difficile non dare ragione alla preveggenza di Platone. Anche Toth doveva però avere pensato che la scrittura andava maneggiata con prudenza, perché l’ha creata molto complicata. Dopo che l’ultimo geroglifico fu inciso nel Tempio di Iside a File nel 394 d.C., ci sono voluti 1500 anni per comprenderne di nuovo il significato. Ma c’è chi pensa che non sia così e che se ancora crediamo che i geroglifici siano complessi è solo perché il nostro cervello ragiona diversamente da quello degli Antichi Egizi. Se noi vediamo il disegno di un leone, pensiamo che si parli di un leone; qualunque scolaro di Tebe sapeva invece che il leone poteva a volte essere un leone, ma altre la lettera «L» dei nomi Ptolmys e Kleopadra (Tolomeo e Cleopatra) che Champollion avrebbe poi trovato nella stele di Rosetta. 
Nel bel libro I geroglifici, manuale per leggere la scrittura egizia (Graphot, pp. 294, € 25) l’egittologo Luca Peis, laureato in Architettura antica e presenza quasi quotidiana al Museo Egizio di Torino, scioglie con semplicità l’intricata matassa dei geroglifici rendendoli comprensibili ai neofiti come se si trattasse di una qualunque lingua straniera che usa disegni al posto delle lettere dell’alfabeto. Come nella nostra grammatica, anche l’antico linguaggio degli Egizi aveva soggetti, verbi, preposizioni, aggettivi, sostantivi, generi, imperativo e participio. Ma l’abbondanza di disegni di animali, di esseri umani, di parti del corpo, di corde intrecciate, di fiumi, laghi, recinti e stelle, in tutto centinaia di simboli, ha fatto pensare per molti secoli che quelle rappresentazioni nascondessero un linguaggio iniziatico segreto e che il significato di ogni figura fosse quello che la figura rappresentava. 
Peis, giustamente, non trascura di sottolineare l’importante ruolo che molti studiosi, da Clemente Alessandrino a Orapollo, da William Warburton a Johan David Åkerblad, da Thomas Young a Athanasius Kircher, hanno avuto nella decifrazione dei geroglifici, il cui merito è generalmente attribuito al solo Champollion. Ma fu lui a comprendere che la scrittura geroglifica impiega simultaneamente ideogrammi e fonogrammi e che questi ultimi sono più numerosi e più importanti dei primi. Come un sillabario scolastico corredato persino di esercizi di verifica, il libro di Peis può condurre ogni appassionato di egittologia alla comprensione dei geroglifici. E quando il mistero sarà svelato, si scoprirà che è stato persino più facile di quella volta che si è provato a imparare il cinese.