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 2019  marzo 08 Venerdì calendario

Espulsioni difficili in Germania

Le vendite dello Spiegel in edicola continuano a diminuire, nonostante le copertine allettanti, e i temi più svariati, dal politico alla salute. Sabato scorso, per la prima volta da anni, non l’ho trovato dal distributore di benzina all’angolo della mia strada. Lo leggo online, ma mi piace anche avere la mia copia cartacea. Già esaurito in mattinata. E non ho fatto in tempo neppure lunedì. Ho dovuto attendere fino a martedì. Perché? Dipenderà dall’argomento scelto per il numero dieci: Abschiebung- Ein deutsches Desaster, espulsione un disastro tedesco. Ma si può tradurre con cattiveria anche in «deportazione». La Germania, come noi, riesce con molta difficoltà a rimandare indietro i profughi che non hanno diritto all’asilo, o commettono reati. Chi mette piede in Europa, in qualche maniera, ci rimane, tollerato, o da clandestino. Un problema serio, sfruttato dai populisti di estrema destra dell’AfD, di cui si teme un successo alle prossime elezioni europee in maggio. Che il pericolo dell’invasione di Flüchtlinge, fuggiaschi come più esattamente vengono definiti, sia reale o avvertito, poco importa. Molti tedeschi, soprattutto in provincia, si sentono minacciati. Gli stranieri che delinquono sono una minoranza, ma si ritiene che si faccia troppo poco per controllarli, e che la polizia debba lottare contro la burocrazia, leggi complicate e contraddittorie, magistrati troppo buoni, e avvocati troppo abili. Clan arabi controllano alcuni quartieri a Berlino, e in altre città, e vaste zone nella Ruhr. Solo adesso si cerca di rendere più difficili le loro attività criminali. Amri, il tunisino autore dell’attentato al mercato di Natale a Berlino (19 dicembre 2016, dodici morti tra cui un’italiana, 56 feriti), non venne bloccato e tantomeno espulso nonostante fosse nota la sua pericolosità.
Il ministro degli interni, il falco bavarese Horst Seehofer, è arrivato l’anno scorso a uno scontro aperto con Angela Merkel. Tolleranza zero? Ma il ministro non ha ottenuto risultati, tranne quello di portare il governo federale lentamente e discretamente dalla sua parte. Al 31 gennaio, gli stranieri da rimandare a casa erano 238.571, di cui 182.169 geduldet, tollerati in attesa che venga chiarita la loro posizione, o accolti provvisoriamente per motivi particolari. Alcuni trovano lavoro, cominciano a inserirsi, ma Seehofer rimane duro: accettarli significa lanciare un messaggio pericoloso per altri che potrebbero arrivare domani, si abbia diritto o no si finisce per restare.
A., il giovane somalo, che viene aiutato dal nostro gruppo di amici, e di cui ho già parlato, è un bravo ragazzo, ma testone. Si è sposato, due figli in 20 mesi, ha interrotto il corso di tre anni per diventare falegname, e non vuole più imparare il tedesco. Lavora trasportando pacchi, ma il rifiuto di studiare la lingua, per Seehofer, equivale al rifiuto di volersi integrare. A. è geduldet e potrebbe essere espulso, non lo sarà perché ha moglie e figli. Anzi, lui e lei potrebbero richiedere il ricongiungimento familiare chiamando in Germania madri e sorelle.
Nel 2016 furono espulsi in 25 mila, 24 mila nel 2017, 23 mila l’anno scorso, e sono fallite all’ultimo momento 31 mila espulsioni, perché il profugo era malato, o introvabile. Ben 3.322, circa dieci al giorno, non sono state eseguite per la resistenza opposta. Circa 300 profughi sono stati trasportati legati in aereo, altri sono stati sedati. Gli espulsi, o deportati, aggrediscono gli agenti, sputano sangue nei loro occhi. Scene terrificanti e giustamente denunciate dai verdi e dai socialdemocratici. E, come noto, i paesi d’origine si rifiutano nella maggioranza dei casi di accogliere gli espulsi. I poliziotti ne hanno abbastanza: devono pagarsi di tasca loro la divisa speciale per accompagnare in Afghanistan, o in Marocco, gli indesiderati, e i pasti serviti in aereo. Le spese extra all’estero vengono rimborsate con settimane o mesi di ritardo. Dopo anni, denuncia lo Spiegel, che non si può certo sospettare di razzismo, si è fatto poco o nulla. I posti nei centri d’attesa per l’espulsione sono sempre poco meno di 500. Si spende molto e si ottiene poco. Mancano i dati, ma a Berlino si ritiene che una buona parte degli espulsi, in qualche maniera riuscirà tornare, in Europa o in Germania.