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 2019  marzo 08 Venerdì calendario

Maria Cannata spiega come si taglia il debito pubblico

«Sono una persona normale». Così Maria Cannata, per 17 anni responsabile della gestione del debito pubblico al Tesoro, risponde sorridendo a chi le domanda quali superpoteri siano necessari per gestire il terzo debito pubblico più grande al mondo, con il suo programma di aste lorde che va oltre i 400 miliardi l’anno, senza uguali in Europa. È proprio quel suo essere “normale”, anche in situazioni eccezionali, il segreto di Maria Cannata: per lei il debito pubblico potrà calare ma senza operazioni straordinarie, «il debito/Pil si riduce piano piano, rispettando anno per anno i target di bilancio, con una politica fiscale che preveda anche investimenti pubblici per la crescita». Nel 1980 Maria Cannata entra al ministero del Tesoro come funzionario statistico e dal dicembre 2000 prende la guida del debito pubblico fino al 2017. 
Quali sono i suoi superpoteri per gestire il superdebito? 
I modelli, econometrici e non, cercano di replicare la realtà, ma la vita reale è sempre più complessa dei modelli. E nessuna magia: io sono una persona normale. Faccio la spesa, come tutti. Prendo la metro…
Qual è il suo segreto? Non tutti saprebbero gestire un debito da oltre 2.000 miliardi...
Coerenza, e la fiducia che ne consegue. La fiducia è stata fondamentale. Devi essere credibile, non devi mai raccontare storie. Sui mercati, se ti presenti con onestà ti danno fiducia. Anche in questo lavoro il rapporto umano resta fondamentale, a mio avviso.
Come hanno reagito gli investitori quando i nostri titoli di Stato sono stati ridenominati ed emessi in euro?
Prima dell’euro, ai tempi della lira, per vendere i titoli di Stato agli investitori esteri bisognava emettere in valuta estera, dollari Usa, yen ma anche sterline, franchi svizzeri... e, di norma, il rischio di cambio veniva coperto con derivati.
Perché il Tesoro ha usato i derivati? E lei, che ruolo ha avuto? 
Come ben spiegato nel rapporto sul debito pubblico, la cui quarta e ultima edizione è relativa al 2017, e in numerose altre occasioni pubbliche, allungare la duration del debito, bloccando tassi fissi storicamente bassi, è stata considerata una strategia prudente e di lungo periodo. Per conseguire questo obiettivo, già dalla seconda metà degli anni ’90 si è ricorso ai derivati di tasso d’interesse, quale complemento dell’attività di emissione. Io ho operato in questa direzione, in continuità con i miei predecessori. Fino alla crisi del debito sovrano in Europa, l’andamento dei tassi di interesse ha corrisposto alle aspettative, poi il contesto è radicalmente cambiato: nessuno si attendeva la divaricazione del merito di credito fra i paesi dell’area Euro, con il drammatico allargamento degli spread, né i drastici mutamenti intervenuti in seguito nella politica monetaria, con tassi bassissimi e spesso negativi nei paesi core.
Come è cambiata la gestione del debito pubblico con l’arrivo dell’euro? 
La moneta unica europea ha portato in Italia tassi e inflazione estremamente bassi. E questo è stato l’enorme beneficio per la gestione del nostro debito pubblico: la spesa degli interessi per rifinanziare il debito con l’euro è ora estremamente più bassa rispetto ai tempi della lira, basta guardare i numeri. Nel 1995 il debito pubblico era circa la metà dell’attuale: 1.151,5 miliardi di euro, e la spesa per interessi di quell’anno arrivò a 109,8 miliardi (l’anno successivo crebbe ancora: 115,6 mld); nel 2018, con un debito di 2.316,7 miliardi di euro, la spesa per interessi è stata pari a 64,9 mld. Ero appena arrivata al Tesoro quando l’inflazione viaggiava al 20% e i BOT, che costituivano il 65% dell’intera torta dei titoli di Stato, venivano collocati con rendimenti a due cifre, ma il tasso reale era di poco negativo. Poi divenne positivo, e non di poco. Erano gli anni delle ripetute svalutazioni e tutti lamentavano la temporaneità dei benefici che ne derivavano, e la fragilità causata dalla debolezza della lira.
E dal momento che l’ha visto esplodere, il debito/Pil, come pensa che possa implodere, e ridursi per tornare al 60%?
Non credo assolutamente che si possa ridurre significativamente il debito attraverso la vendita di beni pubblici. Le grandi privatizzazioni sono state già fatte. È un capitolo quasi chiuso, ormai; resta ben poco da privatizzare, visti i grandi numeri che servirebbero. Montepaschi? Enel ed Eni, perdendo il controllo di due settori strategici e i considerevoli dividendi che normalmente queste partecipazioni producono? Il mercato immobiliare italiano, poi, è particolarmente fiacco e gran parte degli immobili potenzialmente interessanti sono gestiti a livello locale; in ogni caso, il ricavato che se ne può trarre è estremamente ridotto. Tutto può essere utile, ma su questo fronte non c’è nulla di dimensioni davvero importanti. Il debito/Pil si riduce per contro piano piano, rispettando anno per anno i target di bilancio, con una politica fiscale che preveda anche investimenti pubblici per la crescita. Il Belgio ha una burocrazia ingombrante come la nostra, eppure con gli avanzi primari è riuscito a ridurre l’alto debito/Pil. E poi, ovviamente, è essenziale non perdere mai la fiducia dei mercati.
Il timore di un ritorno alla lira preoccupa il mercato?
Resto trasecolata ogni volta che sento parlare del ritorno alla lira. Ridenominare i titoli di Stato dall’euro alla lira, arbitrariamente e unilateralmente, violerebbe l’impegno preso con gli investitori, quel patto di fiducia che lega il creditore al debitore. La valuta di denominazione è un elemento costitutivo essenziale in un investimento. E una volta perso il rapporto di fiducia con i mercati... Se prendi un impegno con me come debitore, io creditore devo essere sicuro che lo rispetterai. Ed è davvero illusorio pensare di contenere le conseguenze “nazionalizzando” la base degli investitori. Recentemente, i primi a mostrare di essere sensibili ai cali di fiducia sono stati proprio i piccoli risparmiatori italiani: l’ultima emissione del BTP Italia, nel novembre scorso, ha visto una partecipazione retail veramente deludente, solo 843 milioni. E nei giorni del collocamento lo spread aveva toccato i 320 punti base…
Che bilancio fa della sua esperienza come capo del debito?
Complessivamente molto positiva, anche se decisamente stressante.