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 2019  marzo 08 Venerdì calendario

Quanto perde l’Italia con i paradisi fiscali europei

meridionalix
I paradisi fiscali costano all’Italia 6,5 miliardi di euro l’anno. E nell’80% dei casi si trovano all’interno dell’Unione europea. Lussemburgo, Olanda e Irlanda sono i principali Paesi destinatari dei trasferimenti di capitali delle grandi multinazionali, richiamati da un trattamento di favore che l’Ue ancora non riesce a contrastare.
Martedì l’Ecofin analizzerà nuovamente la situazione a poco più di un anno dalla pubblicazione del primo elenco Ue di “giurisdizioni fiscali non cooperative”, la cosiddetta blacklist dei paradisi fiscali. Per l’occasione un rapporto di Oxfam fa il conto di quanto costa il “fuoco amico” per i governi europei. Soltanto nel 2015 più di 20 miliardi di euro di ricavi sono sfuggiti alla lente del Fisco italiano. E così sono sfumate imposte per 6,5 miliardi. Si tratta dello 0,36% del Pil, più o meno il costo del reddito di cittadinanza.
Le perdite per Francia e Germania sono addirittura superiori in termini assoluti, visto che il rapporto di Oxfam stima minori entrate fiscali pari a 10,1 miliardi di euro per Parigi e addirittura 15 miliardi per Berlino. Se si aggiungono anche i 3,5 persi dalla Spagna si arriva a quota 35,1 miliardi di euro: soldi scippati alle prime quattro economie dell’Eurozona che in realtà non finiscono ai concorrenti, ma vanno quasi totalmente in fumo. I principali tre paradisi fiscali europei offrono “tax ruling” e accordi privilegiati alle multinazionali che trasferiscono lì i loro profitti (circa 187 miliardi di euro l’anno), applicando aliquote molto basse.
Nel dicembre del 2017 l’Ue ha adottato per la prima volta una lista nera dei paradisi fiscali, ma ha deciso di passare sotto la lente soltanto i Paesi extra-Ue. Secondo Oxfam, se la lista fosse estesa anche agli Stati membri ce ne sarebbero cinque che non rispettano i criteri utilizzati per giudicare gli altri paradisi fiscali: oltre a Lussemburgo, Olanda e Irlanda andrebbero inseriti anche Cipro e Malta.
La Commissione europea – attraverso raccomandazioni – ha più volte sollevato la questione con i Paesi in questione. Anche Belgio e Ungheria sono già stati oggetto di richiami, ma le politiche fiscali restano di competenza nazionale e così Bruxelles non ha strumenti per intervenire. La Commissione ha cercato di aggirare gli ostacoli, affrontando il problema dal punto di vista della concorrenza sleale. L’Antitrust Ue è intervenuta per sanzionare le multinazionali, obbligandole a restituire le imposte dovute ai governi con cui avevano siglato accordi (emblematico il caso dei 14 miliardi che Apple è stata costretta a versare all’Irlanda). Ma questo non ristabilisce certo l’equilibrio e non aiuta gli altri Paesi a recuperare le perdite.
Il rapporto stima che ogni anno 600 miliardi di dollari di profitti vengono portati verso paradisi fiscali, il 30% dei quali all’interno della Ue. Per i Paesi sviluppati questo si traduce in una perdita annua di circa 100 miliardi di dollari.
Al momento gli Stati sulla lista nera Ue sono soltanto cinque: Samoa americane, Guam, Samoa, Trinidad e Tobago, Isole Vergini americane. Altri 63 sono sulla lista grigia, il che vuol dire che si sono impegnati in qualche modo per rimediare alla situazione. Secondo Oxfam, l’Ecofin dovrebbe aggiungere altri 18 Paesi alla blacklist, ma depennarne parecchi da quella grigia, che scenderebbe a quota 32. In particolare potrebbero essere cancellati nove Stati che secondo l’ong sono “dei veri e propri paradisi fiscali”, tra cui le Bahamas, le Bermuda, le Cayman e Panama.