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 2019  marzo 07 Giovedì calendario

Sciascia e Maccari, la strana coppia

meridionalix
Leonardo Sciascia e Mino Maccari sono stati amici. Per lungo tempo con ammirazione e rispetto reciproci, con affettuosità e si potrebbe dire anche con non celata tenerezza, nonostante lo spavaldo anticonformismo del pittore e la risaputa riservatezza dello scrittore. Lo studio di Maccari in via del Leoncino, a Roma, era meta abituale di Sciascia, il quale al cospetto dell’amico, spesso abbigliato in modo noncurante, l’eterno sigaro toscano tra le labbra, riacquistava serenità e buonumore, disposizione d’animo non certo frequente per lo scrittore, specie nel periodo in cui fu deputato alla Camera, e per questo costretto a trascorrere nella Capitale gran parte del suo tempo. Erano gli anni, quelli, tra il 1979 e il 1983. Maccari era per Sciascia l’altra faccia di Roma, una ghiotta occasione per liberatorie risate. Irresistibili le battute del pittore, fulminanti i suoi aforismi. Ne ricordo uno che Sciascia mi riferì ridendo fino alle lacrime: «E ora, professore, mantenga le promosse». Era così, Maccari, gli bastava cambiare una vocale per ottenere effetti memorabili. Anche la cifra pittorica, lo stile risentivano della sua capacità di sintetizzare un concetto, un giudizio, un commento. Iconoclasta il suo stesso segno, qualunque cosa dipingesse, disegnasse o incidesse su una lastra.
MONTANELLICredo di poter dire che Sciascia comprese appieno Indro Montanelli, la volta in cui nello studio del giornalista notò alle sue spalle, appeso alla parete, un quadro di Maccari. Voglio dire che l’ammirazione di Montanelli per Maccari può servire a spiegare quella che ebbe anche per Sciascia, intellettuale nemico di ogni conformismo ed equivoci progressismi. Montanelli, come Maccari, non era per un cambiamento modernista, ma al pari di Maccari e di Sciascia sentiva sulla pelle come insopportabile orticaria il camaleontismo politico, la supponenza dei maître à penser secondo la moda. Sciascia conobbe Maccari a Roma nella metà degli anni Sessanta. Nel 1969 scrisse una nota di presentazione dell’artista per il catalogo di una sua mostra nel 1970 alla galleria La Tavolozza di Palermo. «Sotto le apparenze divertite, sotto una fantasia che sembra ilare», scriveva Sciascia, «c’è nelle cose di Maccari qualcosa di simile alla pirandelliana pena di vivere così’, il senso della trappola’, lo smarrimento della creatura di fronte allo specchio, di fronte alla natura, di fronte al destino». 
L’artista ebbe lo scritto di Sciascia in anticipo sull’inaugurazione della mostra. E così, il 19 novembre 1969, dal Cinquale, scriveva: «Caro Sciascia, dovrei profondermi in richieste di perdono per la mia trascuratezza, negligenza, infingardaggine nei suoi confronti. Ma veramente la sua nota di presentazione alla mostra presso la Tavolozza rappresenta la goccia che fa traboccare il vaso e sia pure senza la speranza di rintracciare il suo indirizzo metto intanto su carta la mia approvazione e la mia soddisfazione, a cui si deve aggiungere il compiacimento per avere provocato una pagina così brillante e vivace» 
LE DEDICHE Maccari dedicò in più occasioni il suo tipico, gustosissimo talento a Sciascia. È documentato in un libro che raccoglie il carteggio Sciascia / Maccari e cataloga la mostra (in corso a Milano) dal titolo E Sciascia che ne dice? (Leo. S. Olschki Editore). L’iniziatica, a cura di Francesco Izzo per gli Amici di Leonardo Sciascia, vuole essere un omaggio allo scrittore e al suo amico Mino Maccari nei trent’anni della loro morte. Entrambi scomparvero nel 1989. Sciascia a 68 anni, Maccari a 91. E così ecco Sciascia chiedere a Maccari (7 luglio 1970) «una cartella siciliana: di tutte quelle cose che in Sicilia l’hanno divertito. I presidenti, i viceré, i baroni, i mimi». Aggiunge lo scrittore: «Ricordo quella sua battuta, mentre si andava a Trapani, davanti a quella roccia ben squadrata: Unico esempio di rettitudine nella regione siciliana’» Maccari realizza per l’amico un disegno con la scritta: «Todo modo / Sciascia lodo» e l’immagine di uno Sciascia armato di pistola, ai piedi le gambe della Trinacria. Un altro disegno mostra un tale che porge un libro di Sciascia a una donna seminuda a cavalcioni di un uomo barbuto. La didascalia: «Fiore di Cascia / la donna deve avere bella coscia / leggendo i libri di Leonardo Sciascia». La dedica: «Dagli stornelli di Aristotile all’amico Sciascia, uomo libero, il libero amico Mino Maccari. Palermo 12. XI. 1970». «Pellegrinaggio a Santa Rita da Sciascia» è scritto in un disegno raffigurante un gruppo di uomini in cammino, lupara in spalla (1975). E quando lo scrittore nel 1979 decise di candidarsi nelle liste del Partito radicale, ecco Maccari vergare con la sua inconfondibile calligrafia: «Volete rovinare Sciascia? Votate per lui». 
Come per altri artisti (Renato Guttuso, Bruno Caruso, Fabrizio Clerici, Edo Janich, Giancarlo Cazzaniga, Piero Guccione, Maurilio Catalano, per citarne alcuni), Mino Maccari divenne un amico della famiglia Sciascia. La figlia del pittore, Brunetta, trasferitasi dall’università di Siena a quella di Palermo, dove si laureò e trovò il suo primo lavoro, fu affabilmente assistita dai coniugi Sciascia e dalle loro figlie, Laura e Anna Maria. Quest’ultima, nel 1974 dedicò la sua tesi di laurea al Selvaggio, la rivista fondata e diretta da Mino Maccari. Nel 1993 la tesi è stata pubblicata dall’editore Salvatore Sciascia con il titolo Arte e politica dopo il ’22 Il Selvaggio.