Libero, 7 marzo 2019
I dubbi di Toninelli
Tre cose: 1) Di Danilo Toninelli sono chiari i costi, ma non i benefici; 2) Abbiamo avuto tanti partiti che erano incapaci di fare, ma per la prima volta abbiamo un partito che è incapace di non fare, anche volendo non fare: tipo non fare il Tav, il Tap, le trivelle nell’Adriatico, l’Ilva, il Terzo Valico, l’acquisto degli F35, il Muos di Caltanissetta, roba che i grillini dovevano bloccare e che, loro, trasformano in garanzia di attuazione; 3) Prepariamoci alle più incredibili sceneggiate – tipo Toninelli che finge le dimissioni, un antipasto – da parte di due forze di governo che sul Tav fingono intransigenza, ma che non farebbero cadere il governo neppure se il rispettivo alleato li prendesse a mitragliate. Dopodiché ricominciamo da capo, anzi da zero, anzi da Toninelli. Qualsiasi persona assennata sa che il Tav si farà, e lo sa da anni, lo sa prescindendo dai grillini e – figurarsi – da uno come Toninelli: è un’opera ritenuta fondamentale dove si decidono le cose – in Europa, ma di cui l’Italia, bene o male, fa ancora parte – e che è programmata da troppi anni, gli interessi in gioco non sarebbero seriamente disturbabili neppure da un governo che dettasse l’agenda economica anziché farsela dettare. Come per molti altri provvedimenti governativi, anche per il Tav il problema riguarda il packaging e non il reale contenuto, il che per i grillini si tradurrà nel drammatico tentativo di salvare la faccia dopo essersela sporcata infinite volte con tutto ciò che si sono rimangiati una volta al governo.
ONOREVOLE SCONFITTA
Un retroscena raccontato giorni fa dal Corriere della Sera, secondo il quale Beppe Grillo avrebbe intimato a Luigi Di Maio di opporsi strenuamente sino all’ultimo (perché tanto il Tav passerà lo stesso, lo vuole tutto il resto del Parlamento e ora si è svegliato persino Zingaretti) anche se fosse un retroscena inventato, sarebbe verosimile: meglio un’onorevole sconfitta che il millesimo compromesso che scatenerebbe (in realtà ha già scatenato) la rabbia preventiva della base grillina non solo piemontese: un po’ come è già accaduto, un territorio alla volta, per tutte le altre opere che proseguiranno con l’arrendevole complicità dei grillini governativi e, segnatamente, di un Toninelli che ormai non ritengono presentabile neppure in famiglia. I nervosismi interni verso l’allampanato ministro non si contano più, di quelli esterni manco parliamo: Pd e Fi hanno già depositato due mozioni di sfiducia da votare il 21 marzo. In altre parole, la battaglia è persa – la commissione costi/benefici è sempre stata una barzelletta – ma i grillini devono fingere di combatterla perché la caduta voti è verticale. Devono fingere di stracciarsi le vesti perché non ci sono trattati italo-francesi che possano pretendere di cambiare: le dimissioni di Toninelli, nella sceneggiata della finta intransigenza, sarebbero state un bel colpo, ma il ministro si è dimostrato incapace persino di dimettersi, nella consapevolezza che alla lotteria dei ministeri, uno come lui, può vincere una volta sola. Ergo, Toninelli ha smentito di volersi dimettere ma nessuno ha smentito che le sue dimissioni avrebbero fatto bene a tutti, forse persino a lui. Ha capito che la sua opinione (parola forte) non ha nessun peso, e tra una figuraccia da ministro o una da dimissionario ha fatto la sua italianissima scelta. Come detto, non c’è nessun muro contro muro: dal muro spunterà la scavatrice del Tav. I bandi da 2,3 miliardi di euro della società Telt, che aspetta un input entro lunedì prossimo, partiranno e l’Italia eviterà di perdere i 300 milioni di Bruxelles. Siccome la decisione va presa ora, non c’è la possibilità di congelare la questione sino alle elezioni europee come piacerebbe a molti.
SOLO PAROLE
Insomma, i grillini non ci dormono la notte ma la infiorettano come neanche Alice nel paese delle meraviglie: secondo Toninelli il dialogo è «sereno e costruttivo» e da ieri sera c’è un vertice a oltranza per giungere a una «sintesi condivisa», dunque «prendere le decisioni migliori nell’interesse del Paese», come spiegava Giuseppe Conte non creduto da nessuno. Tra fare o non fare il Tav, in realtà, non esiste sintesi: mica puoi farne solo un pezzo. Ma se la inventeranno, la sintesi. Le distanze restano ufficialmente siderali (anche se Luigi Di Maio rassicura tutti con melassa per beoti, tutto va bene madama la grillina) mentre Matteo Salvini è secco: «C’è bisogno di infrastrutture. Aspetto di confrontarmi con gli altri, ma una decisione sarà presa entro venerdì». Il sottosegretario agli Affari regionali Stefano Buffagni, uno che farebbe saltare il governo domani mattina, prosegue legittimamente la sua sceneggiata («sono sicuro, sicuro, sicuro che questa roba resterà ferma per altri anni») e il resto è tutto così, parolame. Che ci frega di inseguirlo? Il Tav si farà. I grillini possono fare molti danni, tanti ne hanno fatti e altri ne faranno: ma a tutto c’è un limite. Il Tav si farà.