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 2019  marzo 07 Giovedì calendario

Il Padrino, 50 anni fa

meridionalix
Veniva da una famiglia numerosa Mario Puzo, settimo di otto fratelli, e lui stesso di figli ne ebbe cinque. Non stupisce dunque che la famigghia abbia giocato per lui un ruolo di primo piano nel suo capolavoro: la famiglia che protegge, e dalla quale proteggersi. Alla fine degli anni Sessanta, quest’uomo dal faccione tondeggiante alla Aldo Fabrizi con occhiali grandi come televisori, si rintana in uno scantinato, distante dagli strepiti dei marmocchi e dalla confusione di Hell’s Kitchen, con l’idea di scrivere un bestseller. Ne viene fuori un romanzo di quasi 600 pagine che esce il 10 marzo del 1969. Sulla copertina nera la sagoma di una mano che regge i fili bianchi di un burattino. Il titolo è secco, esplosivo come un colpo di pistola: The Godfather, Il padrino.
Sono passati 50 anni e quel romanzo ha venduto oltre 15 milioni di copie in tutto il mondo. La trasposizione cinematografica in tre episodi di Francis Ford Coppola è uno dei film più visti, citati, e anche più belli, del Novecento.
Cos’aveva indovinato quest’italoamericano, originario di un paesino dell’avellinese, per essere letto e recepito in tutto il mondo? In primis un grande protagonista, Vito Andolini, per tutti Don Corleone, con il riferimento toponomastico al cuore della Sicilia, incarnato nella pellicola da uno strepitoso Marlon Brando, con il mento sporgente e la bocca piena di ovatta. Un capofamiglia e un capomafia, investito da un’aura divina, come appare etimologicamente dal titolo inglese.
Don Corleone è colui che tutto può a New York, che tutto realizza, non per vile denaro, ma per il rispetto. A lui bisogna rivolgersi con devozione e umiltà. Nella prima memorabile scena del romanzo la colpa di Amerigo Bonasera, un genitore umiliato dall’assoluzione dei due ragazzi che avevano tentato di stuprare la figlia, è quella di essersi rivolto alla giustizia americana. Non può esserci la giustizia della divisa, della polizia, dei tribunali. La giustizia è solo quella veterotestamentaria di Don Vito, il dio padre che vuole vedere i suoi sudditi, i suoi adepti, i suoi fedeli inginocchiati. Se pregato, dispenserà favori e miracoli. Proteggerà. Chiedendo un baratto a tempo debito.
L’altra grande trovata de Il padrino è rappresentata dall’opposizione etica del terzogenito, Michael. Il figlio minore che allo scoppio della seconda guerra mondiale sfida l’espresso divieto del padre e si arruola nei marines a combattere “per gli stranieri”. Don Vito corrompe medici, stipula alleanze, ma i ventuno anni di Michael e la sua testa dura hanno la meglio. Ferito nel Pacifico, il ragazzo resta un paio di settimane nella casa paterna e poi una nuova fuga, con il risultato di fidanzarsi con la più insipida delle americane, quella foglia di lattuga di Kay Adams. Altro che moglie e buoi dei paesi tuoi. Che disdetta un figlio che indossa la divisa e sogna di sposare gli ideali degli Stati Uniti e una biondina. Un figlio traditore, eppure il più amato.
Per fortuna di Don Vito, sono molto più tradizionalisti i primi due figli, Sonny e Fred. Di Santino, come lo chiama il padre, Puzo dà una serie di particolari anatomici che lo rendono famoso presso le sue conquiste femminili (La moglie Sandra sostiene di non farcela più e di aver acceso un cero alla Vergine Maria alla scoperta delle amanti di Sonny). Eccola la grande miscela della storia di Puzo: conflitto fra bene e male, ribaltamento etico di legge e giustizia, brama di potere, sesso. E poi c’è tutta la tradizione del romanzo crime che viene ribaltata. Un genere si era riempito di investigatori duri e seduttori, di uomini a margine alcolizzati e cinici, uomini soli. Da Sam Spade a Philip Marlowe.
Puzo, inserendosi in una catena letteraria che attinge fino a Dickens, ce lo racconta dal punto di vista dei cattivi, radicandosi alla mitopoiesi della mafia. Non è che i mafiosi siano proprio cattivi cattivi, son dovuti diventare così attingendo alla storia del brigantaggio, difendendo gli interessi calpestati dei più umili. Stronzate da un punto di vista storico. Ma è una leggenda che ha il suo fascino, come la violenza che ritroviamo nelle storie di Don Winslow sul narcotraffico e di Ellroy sulla corruzione.
E l’ultimo segreto? Quello di pulcinella: la famiglia. Quell’entità che gli americani vedevano distrutta e dilaniata dalla guerra in Vietman, quell’entità alla quale si sapevano aggrappare quegli esotici degli emigranti italiani.