il Fatto Quotidiano, 7 marzo 2019
Mbs vuole sostituire il padre sul trono di spade
meridionalix
Il 23 febbraio il re saudita Salman arriva a Sharm el Sheikh, in Egitto, per partecipare al primo summit fra capi di Stato e di governo dell’Unione europea e Lega araba. Il confronto è previsto per il giorno seguente. A togliere il sonno a Salman bin Abdulaziz Al Saud però non è la geopolitica: poche ore dopo aver messo piede a Sharm, i suoi consiglieri lo costringono a cambiare gran parte della scorta – circa 30 uomini – e insistono che persino quelli della sicurezza egiziana stiano a distanza di sicurezza: il timore è quello di un colpo di mano, e la regìa sarebbe quella del principe ereditario, Mohammed bin Salman (Mbs).
Una sceneggiatura degna del Trono di spade, solo che stavolta si parla di intrighi concreti e non di fiction, considerata la “tenacia” con cui Mbs persegue i suoi obiettivi per rafforzare il proprio potere e togliere di mezzo gli avversari.
Alcuni precedenti: nel novembre 2018, la Casa reale organizza una retata di dignitari e personaggi in vista: l’accusa è di corruzione. Secondo i dati messi a disposizione dal procuratore generale saudita, Saud al Mojeb, 381 persone sono state ‘convocate’ – alcune arrestate – e ci sono stati sequestri di beni per circa 400 miliardi di riyal (80 miliardi di euro). Solo sete di giustizia? Il New York Times ricorda che tra gli arrestati c’erano anche i proprietari di una delle maggiori società di comunicazione del mondo arabo, che bin Salman voleva comprare da un paio di anni. Un anno prima c’era stato il “rapimento” del presidente del Libano, Saad Hariri. Il 3 novembre era atterrato a Ryad, qualche ora dopo aveva annunciato le sue dimissioni. Considerato una creatura della Casa sunnita reale, sembra che Hariri abbia suscitato il malumore di Mbs per l’avvicinamento a Hezbollah – alleato di ferro dell’Iran sciita – dentro il governo di unità nazionale, a Beirut. Il “sequestro” del presidente sarebbe stato un monito da parte di bin Salman per ricordare chi comanda davvero.
C’è poi l’omicidio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi; l’editorialista del Washington Post era un acerrimo avversario di Mbs, denunciando che la politica di rinnovamento del principe ereditario era solo operazione di facciata. Il 2 ottobre scorso, Khashoggi entra di sua volontà nel consolato saudita a Istanbul, e non ne esce più. Nonostante i dinieghi di Ryad, la Cia e l’intelligence turca evidenziano la presenza di un commando che, mandato da Mbs a prelevare il dissidente, in realtà lo ha ucciso e ne ha fatto sparire il cadavere. Dunque, Mbs sarebbe capace di defenestrare anche il padre? Gli analisti si concentrano su quanto è avvenuto in assenza, e al rientro, del re saudita: bin Salman, rompendo il protocollo, non si è fatto trovare ad attenderlo, un segnale da non sottovalutare per Bruce Riedel, ex veterano della Cia e direttore del Brookings Intelligence Project, citato dal Guardian. Ci sono poi le nomine fatte – in autonomia? – da Mbs e che Salman bin Abdulaziz Al Saud avrebbe appreso dai notiziari; si tratta del fratello di Mbs, Khalid bin Salman, a capo del ministero della Difesa e della principessa Reema bint Bandar bin Sultan, nuova ambasciatrice negli Stati Uniti. Soprattutto la promozione di Khalid non sarebbe piaciuta al sovrano, che l’ha considerata “prematura”. La Casa reale nicchia: sollecitato dal Guardian, un portavoce dell’ambasciata saudita a Washington ha dichiarato: “È consuetudine per il re emettere un ordine che deleghi il potere di amministrare gli affari dello stato al suo vice, il principe ereditario, ogni volta che viaggia all’estero. È stato così anche durante la recente visita in Egitto di re Salman”. Insomma, tutto a posto. O forse no.