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 2019  marzo 07 Giovedì calendario

La dinasty degli oppiacei rischia la bancarotta

WASHINGTON Qual è il collegamento tra i 47 mila morti all’anno per overdose, i tossicodipendenti accampati per strada e la vita brillante, scandita da opere benefiche e amore per l’arte, di una delle famiglie più ricche d’America, i Sackler? Secondo una legione di avvocati il collegamento è una boccettina di antidolorifici, l’OxyContin, che da sola procura un fatturato di 1,74 miliardi di dollari alla società produttrice, Purdue Pharma (dati 2017).
Purdue Pharma, quartier generale a Stamford nel Connecticut, fa capo a due rami della famiglia Sackler che in un ventennio hanno incassato dividendi per circa 4,2 miliardi di dollari, fino a mettere insieme un patrimonio valutato da Forbes in 13 miliardi di dollari (stima del 2016).

La produzione di OxyContin cominciò nel 1996, spinta da un’aggressiva campagna di marketing: allevia il dolore, non ha controindicazioni. Molti medici americani iniziarono a prescrivere il farmaco con disinvolta facilità. Ventitré anni dopo eccoci a contare quasi duemila denunce contro Purdue Pharma: il miracoloso antidolorifico in realtà crea dipendenza e può portare alla morte per overdose. Oltre alle cause dei privati, ci sono quelle promosse dai procuratori generali dello Stato del Massachusetts, del Connecticut, dell’Oklahoma, del Rhode Island che chiamano in causa pesantemente le responsabilità di otto componenti dei Sackler.
La valanga giudiziaria può travolgere il gruppo farmaceutico e i suoi principali azionisti. Per questo motivo i legali della società hanno fatto sapere il 4 marzo che «stanno esplorando la possibilità di ricorrere alla protezione del “Capitolo 11”», cioè la norma del Codice sulla bancarotta che consente alle imprese di concordare un rimborso graduale dei debiti, mantenendo in piedi il business.
È il punto più basso di una storia cominciata nel 1952, quando i fratelli Arthur, Mortimer e Raymond, rilevarono la società fondata da John Purdue Gray nel 1892. Arthur morì nel 1987. Toccò, dunque, a Mortimer (scomparso nel 2010) e a Raymond (morto nel 2017) trasformare l’impresa in una stella del «big pharma», una delle lobby industriali più potenti d’America.
Tutti e tre i Sackler avevano studiato medicina, specializzandosi in psichiatria. Come diversi imprenditori americani amavano accumulare denaro e poi restituirne una piccola parte alla comunità. La passione di famiglia era e rimane l’arte. Nel 1982 Arthur donò 4 milioni di dollari allo Smithsonian Institution per la costruzione di un padiglione dedicato alla cultura asiatica. Dal 1987 il museo si chiama Arthur Sackler Gallery. Per circa 50 anni i Sackler finanziarono il Metropolitan Museum, il Guggenheim, l’American Museum of Natural History e la Dia Art Foundation. Tutti a New York.
Oggi gli eredi dei tre patriarchi vivono sostanzialmente di rendita e si occupano di cultura. Ma otto di loro si sono sganciati dall’azienda solo negli ultimi anni, come Richard Sackler, figlio di Raymond, presidente del consiglio di amministrazione dal 1999 al 2003: ora abita ad Austin in Texas ed è uno dei finanziatori di Yale. Anche suo figlio, David, e suo fratello Jonathan figurano nella lista dei denunciati. Nell’altro ramo, quello dei discendenti di Mortimer, troviamo, Kathe, David Alfons e Ilene, brillante socialite di Manhattan e componente del consiglio fiduciario dell’American Museum of Natural History di New York.
Nei giorni scorsi gli attivisti anti-oppioidi hanno organizzato qualche manifestazione davanti ai musei di Washington e New York beneficiati dai Sackler e diverse fondazioni culturali cominciano a chiedersi se quel nome non stia diventando troppo compromettente.