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 2019  marzo 07 Giovedì calendario

1935, l’ottimismo naïf di Einstein

«Leggo con preoccupazione di un significativo movimento in Svizzera aizzato dai banditi tedeschi. Ma credo che anche in Germania le cose stiano lentamente cambiando. Speriamo solo che nel mentre non ci sia una guerra in Europa. Il riarmo tedesco in sé è certamente molto pericoloso, ma il resto dell’Europa inizia finalmente a prenderlo sul serio, specialmente gli inglesi». Scriveva così, due anni dopo l’ascesa al potere di Hitler, il Premio Nobel per la fisica Albert Einstein al figlio 26enne Hans Albert, all’epoca residente a Zurigo. La lettera, finora inedita, fa parte di una collezione di 110 manoscritti diffusi ieri, quasi tutti per la prima volta, dall’Einstein Archive della Hebrew University di Gerusalemme per celebrare il 140° anniversario della nascita del genitore della relatività.
Tra le chicche ora consultabili, che integrano uno schedario da 100 mila voci, l’epistola al figlio datata 11 gennaio 1935 più altre due all’amico Michele Besso, rimasto in Germania, e due cartoline. 
«Conoscevamo l’esistenza di questi documenti originali ma non sapevamo dove fossero, finché lo scorso anno siamo stati contattati da un collezionista americano che ci ha messo così in condizione di digitalizzare il materiale e renderlo disponibile a tutti gratuitamente» spiega il direttore dell’archivio Roni Grosz. Quel che raccontano le parole antiche al mondo contemporaneo è come l’ottimismo quasi naïf di Einstein prevalga sulla paura del presente nelle considerazioni private al figlio e quanto invece precoce sia sul piano scientifico, quando nel 1916, con quasi mezzo secolo di anticipo, scrive a Besso della capacità «luminosa» degli atomi, anticipando di fatto i fondamenti della tecnologia al laser. 
«Possiamo dire che Einstein prevedesse assai meglio la scienza che la politica» scherza Grosz. A ben scartabellare, tra le pagine e pagine di calcoli presentate nel 1930 alla Royal Prussian Academy of Science e il cui valore matematico non è stato ancora ben definito, si trovano le tracce di un sodalizio, quello con Besso, l’ingegnere che Einstein definiva la sua «migliore cassa di risonanza in Europa», fatto di spirito, scambio intellettuale, consapevolezza sociale di un genio che comunque, nel 1933, con l’acuirsi dell’antisemitismo, si era trasferito negli Stati Uniti. 
«Sicuramente non andrai all’inferno, anche se sei stato battezzato» si legge tra le righe indirizzate all’amico che nel frattempo si era convertito al cristianesimo. «In quanto goy (non ebreo, ndr) non sei obbligato a studiare la lingua dei nostri antenati, mentre io, in quanto “santo ebreo”, dovrei essere imbarazzato dal fatto che non ne so quasi nulla. Eppure preferisco sentirmi in imbarazzo piuttosto che studiarla». Scherza, ma in quegli anni, dall’esilio americano, sa bene che con il nazismo trionfante i premi Nobel Philipp von Lenard e Johannes Stark conducono una campagna senza esclusione di colpi per screditare i suoi lavori, marchiandoli come «fisica ebraica» e dunque nemica di quella «tedesca» o «ariana». 
Le teorie di Einstein restano tra i capisaldi della fisica contemporanea, ma le lettere e gli scritti del grande fisico, tra cui alcuni degli Anni 40 sui principi base della bomba atomica e dei reattori nucleari, rivelano una semplicità quasi disarmante, come quando, il 12 dicembre 1951, confessa a Besso che per quanto ci abbia lavorato non è ancora venuto a capo della natura quantistica della luce: «Cinquant’anni di studio non mi hanno rivelato cosa siano davvero le particelle di luce. Oggi ogni sempliciotto pensa di conoscere la risposta, ma si sta prendendo in giro». Besso sarebbe morto 4 anni dopo, un mese prima di Einstein che al suo funerale avrebbe recitato queste parole: «Ora se n’è andato da questo strano mondo un po’ prima di me. Ma non significa nulla. Le persone come noi, che credono nella fisica, sanno che la distinzione tra passato, presente e futuro è solo un’illusione ostinatamente persistente». Lapidario.
«Ci sono due elementi in questo materiale», osserva Hanoch Gutfreund, ex preside della Hebrew University. «Sul piano scientifico parliamo di oltre 100 fogli scritti in linguaggio soprattutto matematico, relativi a quella seconda metà degli Anni 40 in cui Einstein è concentrato sulla definizione di una teoria sistemica che comprenda tutto. Sul piano personale c’è l’uomo, l’amicizia, l’identità ebraica». I tasselli di un grande puzzle.