la Repubblica, 7 marzo 2019
Dopati per giocare alla playstation
Vedo bene? Sono cinque cerchi o cinque pasticche? Negli “antri dorati” in cui si gioca con la playstation, dove si disputano estenuanti tornei, visualizzati da eserciti di altrettanti giovani scalpitanti e schierati, simili in tutto ai futuri campioni olimpici, circolano anche faccendieri della chimica criminale. Come fossero in discoteca, questi signori indistinguibili dagli altri frequentatori, a meno di non utilizzare segnali convenuti, come a briscola, guardano ciò che succede intorno a loro oppure sono loro che fanno succedere qualcosa. Gli “e- sports” sono le nuove Olimpiadi, aperte a mercati d’ogni risma. Quando il primo ministro giapponese entrò allo Stadio Olimpico di Rio de Janeiro travestito da Super Mario era chiaro come il sole che non si sarebbe potuto più tornare indietro, culturalmente ed economicamente.
Fermiano lo sguardo sull’aspetto economico. Chi ci guadagna? Un po’ tutti. Ci mancherebbe. Dal movimento olimpico al trafficante di paradisi artificiali che avrà il suo personale interesse che il futuro olimpionico di fronte a una “console” mantenga alto il livello della sua concentrazione e per un tempo prolungato, quanto più possibile, inseguendo la performance perfetta. Si va dalle classiche anfetamine ai farmaci per curare l’ADHD, il deficit di attenzione e iperattività, come il metilfenidato e l’atomoxetina. «È un rischio alimentato dal fatto che viviamo la più totale mancanza di uniformità di regole e di sanzioni nei tornei più importanti» spiega il professor Andy Miah, docente di scienze della comuncazione all’Università di Salford, Manchester, autore di saggi come Genetically modified athletes, Olympics e Sport 2.0. «Senza una norma globale, anche quella attualmente in vigore per gli sport tradizionali, emessa dalla Wada, è inevitabile che gli “e- sports”, patrimonio della gioventù moderna, rimangano vulnerabili all’uso del doping più innovativo». È palese lo sforzo delle federazioni internazionali di promuovere un adeguamento per riuscire a presentarsi ai Giochi ( ci dovrebbe essere un’integrazione dimostrativa a Parigi nel 2024) con un “passaporto biologico di sistema” credibile: «Ma la strada purtroppo è ancora lunga. Nello staff delle organizzazioni che metteno in piedi i tornei non c’è nessuno che si assuma una qualche forma di responsabilità per ciò che di illegale ruota attorno ai partecipanti, siano essi professionisti o amatori». Basta uno sguardo ai potenziali scenari e si può facilmente intuire il colossale affare in questa “suburra” planetaria. «Se non si interviene prima...». È uno degli aspetti che più allarma gli investitori del settore: entrare ufficialmente nell’universo olimpico senza aver debellato gli infiltrati che smerciano doping senza che qualcuno segnali, disturbi o eccepisca: «Adesso capita sovente che i giocatori entrino senza rendersene conto in contatto con gli spacciatori negli spazi sociali dedicati al loro sport e subiscano il fascino della pressione psicologica a migliorare o meglio ad alterare le proprie prestazioni. Per questo ritengo sia urgente e necessario un supporto tecnico, medico, per proteggere ed eventualmente migliorare la salute mentale dei praticanti di “e- sports” ed è fondamentale che questo sostegno arrivi da un ente professionale e indipendente». In pratica, più si alza la posta in gioco ( per esempio la partecipazione a un torneo neppure mondiale ma addirittura olimpico), «e più si possono creare diverse e “innovative” forme di assunzione di doping tra i giovani professionisti. E alcune di queste dobbiamo ancora scoprirle ».