Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  marzo 07 Giovedì calendario

Biografia di Luciano Spalletti

Luciano Spalletti, nato a Certaldo (Firenze) il 7 marzo 1959 (60 anni). Allenatore di calcio. Attualmente, tecnico dell’Inter (dal 2017); già tecnico di Empoli (1994; 1995-1998), Sampdoria (1998/1999), Venezia (1999/2000), Udinese (2001; 2002-2005), Ancona (2001-2002), Roma (2005-2009; 2016-2017), Zenit San Pietroburgo (2009-2014). Tra i principali traguardi raggiunti, due Coppe Italia, una Supercoppa Italiana, due campionati russi, una Coppa di Russia e una Supercoppa di Russia. Ex calciatore (Castelfiorentino, Entella, Spezia, Viareggio, Empoli). «Il mio resoconto di quanto fatto fino a oggi è in pari: mi sento artefice dei miei successi e di quanto non sono riuscito a raggiungere. La domanda da porsi non è se siamo soddisfatti di quanto ricevuto, ma se siamo a posto con noi stessi per quel che potevamo dare. Io sì. Canta Ivano Fossati: “Niente di più, in fondo… tutto questo è già più di tanto”» • «Sono nato a Certaldo, il paese di Boccaccio. Il mio babbo Carlo, che faceva il guardacaccia e poi il magazziniere in una vetreria, mi ha insegnato a curvare la schiena e a rispettare tutti». «Un’infanzia scivolata via nel segno della semplicità. Scuola, pallone, amicizie e un contatto con la terra che non ha mai tradito. […] Il Lucio alunno di scuola elementare si avvicina al calcio in un campetto di Avane. Categoria pulcini. Poca erba e tante buche. Con Marcello, il fratello maggiore, che non lo perde di vista neppure un secondo. Spalletti è cresciuto per strada. Inventandosi porte con zaini e pietre. […] “Il mio divertimento da bambino era stare fuori, per strada. Con poche cose. Ho sempre ragionato con la mia testa: sapevo quando era giusto dire di no, e questo mio atteggiamento mi ha sempre garantito il rispetto di tutti i miei compagni”. […] Lo Spalletti aspirante calciatore arriva al settore giovanile della Fiorentina, con il professor Petrini come allenatore. Lucio ha tanti capelli e tanta grinta. Si innamora dei colori viola. Di Antognoni. Di Moreno Roggi, che, per un periodo, sarà anche il suo procuratore. Il problema è che la Fiorentina è tanta roba. Superiore al suo potenziale. Ma lo Spalletti bambino non si intristisce. Continua a studiare. E non rinuncia alla sua passione. […] Gioca nella Volterrana, nel Cuoiopelli. A Castelfiorentino. Centrocampista con il senso del gol. Insomma, diciamola tutta, un medianaccio. […] Dal Castelfiorentino passa all’Entella. Lo vuole un allenatore che si chiama Gian Piero Ventura. Per Lucio sarà una stella cometa. Un riferimento continuo di tutto il suo percorso in panchina. I semi della futura carriera di quel ragazzo di Certaldo tutto occhi e curiosità, Ventura li deposita prima all’Entella, poi allo Spezia. Spalletti annota e impara. […] Dopo una parentesi da calciatore del Viareggio (con il finanziere Mendella che prima regala sogni, poi lascia la società fallita), approda nella sua Empoli. Ultima tappa della sua carriera. Lucio ha le ginocchia rovinate, ma già ragiona e si muove da allenatore. I suoi compagni di squadra sono Fabio Galante, il bello, Igor Protti, il bomber, e Vincenzo Montella, il gioiellino» (Luca Calamai). «Fabrizio Corsi, il presidente dell’Empoli, lo chiamò e gli disse di prendere la squadra, senza patentino. Giocatore-allenatore: “Mancavano sei giornate alla fine. La prima volta che entrai nello spogliatoio da mister, i miei compagni di squadra si nascosero dietro gli accappatoi per non ridermi in faccia. Giocammo i play-out per salvarci. Ci riuscimmo”. Non ci credeva neppure lui. […] L’anno dopo fu quello degli allievi, del lavoro diviso a metà. […] Quello del furgone del mobilificio Trio passava di mattina: Luciano Spalletti montava su e andava tra Sovigliana e Vinci, in compagnia del fratello. Proprietari al 50 per cento. Scaricavano e assemblavano divani: struttura, sostegni, schienale, cuscini. […] Il pomeriggio, a Empoli. Il pallone, i ragazzi, niente lavagna, il campo, undici contro undici. Fabrizio Corsi […] chiamò Luciano, lo invitò a casa sua a Viareggio d’estate e gli propose di nuovo la panchina. Stavolta dall’inizio, da settembre a giugno. Stavolta dagli stessi punti degli altri, e con una squadra decente. Spalletti accettò: Empoli promosso. L’anno dopo, serie B: promosso. Ecco, Luciano in serie A. Sempre con la storia del provinciale che sembra un altro pianeta. Raccontato così, puntato sempre con aneddoti piccoli che potessero confermare il cliché. Come la frase “Non mi sento in grado di allenare in A. Ho paura. Non conosco nemmeno i giocatori avversari”. E la relativa risposta del presidente Corsi: “Ti si compra l’album delle figurine, così impari tutti i nomi”. Si scoprirà solo dopo come lavorava già allora Spalletti, si scoprirà che la retorica della provincia era fuffa: c’era lavoro, metodo, idee, modernità. Due mesi dopo aveva già battuto Lazio e Fiorentina. Il 5 ottobre doveva giocare con il Milan, in casa: Empoli 6 punti, Milan 2. Quell’Empoli fece un campionato da favola. […] A Empoli Luciano era un’icona intoccabile, uno trasformato in una serie di manifesti appesi nelle strade di Sovigliana, non in una strada qualunque, ma in via Palmiro Togliatti: “Sacchi + Zeman = Spalletti”. […] Cominciarono le telefonate di alcuni presidenti, mentre i tifosi toscani già sapevano. L’anno dopo, Luciano era l’allenatore della Sampdoria. Allora è cominciata una storia nuova, sono spariti definitivamente i baffi e il capello cortissimo è diventato pelata. Da quel momento la vita di Luciano Spalletti è diventata una coincidenza, s’è trasformata in una serie di casi unici, di incroci del destino, di corsi e ricorsi. Il vincente di Empoli era lontano, nonostante Montella “il Marziano”, come lo chiamava Luciano. Tre mesi: il 13 dicembre del 1998, Spalletti era già l’ex allenatore della Sampdoria. Lo cacciarono in un pullman, mentre la squadra andava da Roma a Firenze. Esonerato per una sconfitta contro la Lazio, la stessa Lazio che era stata la prima squadra incontrata e sconfitta con l’Empoli, l’anno prima. Lui fece la valigia e tornò a Genova solo per salutare la squadra e la dirigenza: “Mi auguro con tutto il cuore che vi riusciate a salvare, ma avrei potuto salvarvi io”. Al suo posto venne chiamato David Platt. Durò poco. Il 3 febbraio 1999 Luciano era di nuovo a Bogliasco, con il vice Domenichini e tutto lo staff, con le cassette, gli appunti, gli studi. Ritorno. Il primo. […] Quell’anno la salvezza della Samp non arrivò. […] La Sampdoria era in serie B, e per l’allenatore era esonero definitivo. Luciano non rimase fermo. Il 3 giugno firmò un nuovo contratto, col Venezia. Sostituiva Walter Novellino. […] A prenderlo sulla laguna fu il presidente di allora del Venezia: Maurizio Zamparini. […] Otto giornate di campionato: Spalletti esonerato. Era il 2 novembre 1999: al suo posto, Giuseppe Materazzi. Altre due giornate: Materazzi cacciato, Spalletti richiamato. Non era mai successo nella storia del pallone italiano. Due volte di seguito la stessa cosa, due volte sollevato dall’incarico e poi rimesso al suo posto. Non è stato un bel record, quello di Luciano. Comunque, prima partita da allenatore bis del Venezia e vittoria. Contro l’Udinese. Coincidenza. Perché dopo l’esperienza con Zamparini la destinazione è stata proprio Udine. Spalletti è arrivato nel 2001, quando il campionato era cominciato. È subentrato perché dopo Venezia aveva deciso di restare un po’ fermo. C’erano state storie brutte con il presidente, che l’aveva definito “uno che porta sfiga” in diretta tv. Pozzo lo chiamò a marzo per sostituire Luigi De Canio. Luciano lavorò per sei mesi, poi andò ad Ancona. A giugno 2002, il ritorno a Udine per un contratto serio» (Beppe Di Corrado). «Siamo alla stagione 2002/2003, quando Spalletti viene richiamato a Udine. Il primo anno il tecnico ottiene la qualificazione alla Coppa Uefa, e la stagione successiva compie un vero e proprio miracolo portando il club friulano addirittura al quarto posto, ovvero alla Champions League, segnando così la prima qualificazione nella storia del club. Proprio al termine di quella splendida stagione, il tecnico si dimette per firmare con il club della capitale, la Roma» (Enrico Callovini). «Era arrivato a Roma il 28 giugno del 2005. […] Durante il primo ritiro costrinse i reduci dalle stagioni dello scudetto a “cinque ore di duro lavoro” giornaliero, tre delle quali senza palla, come certi suoi predecessori zonaroli che facevano sensazione negli anni ’80. Tattico di buon livello, allenatore di tendenza, fautore del 3-4-3 ai tempi della sua Empoli e poi della sua migliore Udinese, fece capire subito il perché. Il 4-2-3-1 che scelse per la sua Roma era il modulo “alla spagnola”, quello dei trequartisti, del bel giuoco, dei galácticos. Lo trasformò in un flipper veloce, capace di disegnare sul campo ragnatele insidiose, angoli inusitati, lampi di bel gioco, e allo stesso tempo di chiudere velocemente in difesa. Lo fece perché aveva trovato i giocatori per farlo. […] Questo è stato il suo genio e il suo limite di allenatore. Due lunatici come Mancini e Taddei, un donchisciotte acciaccato come Vucinic, il centrocampo tutto genio e sregolatezza di De Rossi, di Pizarro e del figliuol prodigo Aquilani quando scendeva in campo con la testa. Il galoppo di Perrotta. I colpi di fioretto dei difensori (Chivu, Juan, Mexès), talvolta inevitabilmente a vuoto. Eccetera. E, su tutti, Totti, lunatico supremo. […] Fanno una squadra sospesa nel vuoto, come un equilibrista, fino al 7-1 preso a Manchester senza appello. Bello comunque ricordare il record di vittorie (undici di fila, stagione 2005/2006), la Supercoppa e la Coppa Italia, ma soprattutto – per i romanisti romantici – le vittorie a San Siro contro Inter e Milan. Insomma, la Roma migliore, i grappoli umani dei giocatori e le botte d’affetto sulla testa sopra ogni gol. Persino la cena sociale settimanale tra i giocatori» (Alberto Piccinini). «Si afferma un modulo di gioco, un’idea vincente che porterà Francesco Totti a stare lassù davanti, come unico riferimento centrale d’attacco. […] La trasformazione avviene il 18 dicembre 2005, quando a Genova, contro la Samp, Spalletti è privo di Cassano, Montella e Nonda. L’unico centravanti a disposizione è un giovanissimo Okaka. Il tecnico di Certaldo decide che è giunto il momento di reinventare la posizione di Totti. “Fu soprattutto lui ad indicarmi la strada da seguire: giocatori di questa pasta si modellano da soli. E poi, avvicinare Francesco all’area di rigore è come mettere la volpe vicino al pollaio: trova sempre lo spazio per creare terrore”. […] Quattro stagioni indimenticabili, in cui la Roma riesce a togliersi tante soddisfazioni. Unica pecca, lo scudetto mancato. […] Dopo […] 4 anni, l’incantesimo finisce. Luciano decide che è giunto il momento di chiudere. […] Dopo appena 3 mesi, Spalletti firma per lo Zenit. […] Spalletti prende il posto di Dick Advocaat, l’allenatore che ha portato lo Zenit a vincere in Europa, […] ma non si fa spaventare da quello che lo aspetta, e in men che non si dica vince subito il primo trofeo a disposizione: la Coppa di Russia. Nello stesso anno porta poi a casa campionato e Supercoppa di Lega. È triplete. Spalletti diventa Luciano il Grande. Anche se ha dovuto fare tanti chilometri, finalmente ha vinto uno scudetto: non sarà come quello italiano, ma la gente lo acclama ed è l’uomo del momento. E Luciano che fa? Bissa l’anno successivo con un’altra vittoria in campionato. Prima volta assoluta nella storia del club: […] due scudetti consecutivi. […] L’esperienza con lo Zenit dopo i primi due anni ricchi di successi si affievolisce un po’. L’anno successivo è secondo in campionato, a soli due punti dal Cska di Mosca. […] Il 10 marzo 2014 viene esonerato, dopo aver vinto una sola partita di campionato nelle ultime undici giocate» (Simone Bartalesi). Dopo un periodo di riposo, nel gennaio 2016 Spalletti fu richiamato dalla Roma, in sostituzione dell’esonerato Rudi Garcia: riuscì allora a risollevare le sorti della squadra, guadagnandole il terzo posto in campionato e l’accesso agli spareggi di Coppa dei Campioni. Più negativa fu la stagione successiva, segnata dagli scarsi risultati ottenuti nei principali tornei e, soprattutto, da gravi tensioni con parte della tifoseria, legate al trattamento riservato dal tecnico a un Totti ormai a fine carriera, ma riluttante ad abbandonare il campo. Nonostante il secondo posto ottenuto in campionato con l’eccezionale risultato di 87 punti, a fine maggio 2017 Spalletti abbandonò la capitale, firmando poco dopo un contratto biennale con l’Inter. Il primo anno a Milano, dopo alterne vicende, si concluse positivamente, con la conquista del terzo posto in campionato, e quindi con l’accesso alla Coppa dei Campioni, ottenuto dopo sei anni di assenza dal torneo. La stagione 2018/2019 si sta invece rivelando particolarmente complessa, tra la mancata qualificazione agli ottavi di finale nella massima competizione continentale, l’interruzione del torneo di Coppa Italia ai quarti di finale e risultati di campionato spesso deludenti, fattori negativi cui vanno aggiunte le tensioni sempre più esasperate con Icardi: pertanto, nonostante l’accesso agli ottavi di finale di Coppa Uefa brillantemente ottenuto il 21 febbraio contro il Rapid Vienna (4-0), secondo molti commentatori il rapporto tra Spalletti e la società sarebbe ormai prossimo alla fine • «Ci sono due Spalletti nella sua carriera da allenatore. C’è quello prima di Roma e quello dopo Roma. O forse, per dirla tutta, lui era lo stesso, ma ciò che percepivano gli altri era diverso. Fino a Udine lo raccontavano come quello che s’era fatto la gavetta in provincia e che ai valori di quella provincia si ispirava. […] A Roma, […] Spalletti ha smesso di essere il provinciale ed è diventato globale. Non lui, […] ma il modo con cui è stato raccontato. Le modalità di allenamento erano le stesse di Empoli, però è come se fossero nuove: “Io preferisco ripetere le situazioni di gioco in campo, undici contro undici come la domenica. Un pilota di Formula 1 mica sta in poltrona con solo il volante in mano: mette a punto la macchina girando in pista come nei Gran premi”. Finalmente qualcuno ha riparlato della preparazione. […] Da quel momento, e dall’introduzione – un po’ casuale, per sua stessa ammissione – di Totti come falso (o verissimo) centravanti, Luciano è stato considerato definitivamente un allenatore scienziato» (Di Corrado) • Sposato, tre figli • «Dante mi avrebbe messo nel girone degli orgogliosi» • «Lucio non ha mai tagliato il cordone ombelicale che lo lega alla sua terra. È diventato ricco, famoso. Ma quando si spengono le luci della ribalta lui si riprende il suo mondo. Certaldo, Sovigliana, Avane, Montaione, Empoli e Firenze è la rotta della sua vita fuori dal tritacarne del pallone. Fatta di convocazioni in pizzeria, di visite ai suoi ciuchi e ai suoi maiali, di vino e olio prodotti dalla sua terra, di ore passate sul trattore, di tanta beneficenza. Fatta, ma non raccontata. Di chilometri percorsi con la sua Panda azzurra. Ne ha quattro, di Panda. Vanno come schegge tra le colline toscane. […] I suoi amici […] lo aspettano al campo di Avane. Su un rettangolo con poca erba e molte buche Lucio ha dato i primi calci al pallone. Sotto gli occhi protettivi del fratello Marcello. Da calciatore era “normale”. Un po’ lento. Un po’ tecnico. Un po’ tattico. Lucio non ha dimenticato quel campetto. Lo ha ristrutturato, lo ha trasformato in una scuola calcio» (Luca Calamai). «A Firenze Lucio ha un ristorante, tra i soci figura anche Gilardino. […] Da Empoli si sale, su curve dolci, e si arriva a Montespertoli. Luciano Spalletti agli inizi degli anni Novanta trasformò un’antica casa contadina, pezzo dopo pezzo, in quella che oggi è la sua residenza, ricca di verde e di oggetti tipici di quella campagna, come i martelli che Lucio colleziona da sempre. Spalletti ha un rapporto di pancia con la sua terra. Il sogno, lo ha realizzato […] quando sulle colline di Montaione, sempre in zona, ha acquistato alcune decine di ettari. Bosco, ulivi, vigne e animali. Quello è il suo buen ritiro. L’ultima sfida è il vino: l’etichetta è Bordocampo» (Mario Tenerani). «La cosa più bella del mondo è il silenzio delle colline toscane» • «“Sono mezzo Trap e mezzo Zeman”, disse una volta. La modestia e la serietà sono il suo forte. Vive la Toscana come un inglese del Chiantishire, vive la professione con il giusto grado di tensione personale, ma non la trasmette al prossimo, cercando piuttosto il tono medio, il rispetto, la parola giusta al momento giusto» (Roberto Perrone). «Di certo, Spalletti è uomo estremamente sicuro di sé. E delle proprie teorie pallonare. Non ha i “paraocchi”, sul piano tattico: anzi, prende un po’ qui e un po’ là da tutti. C’è chi lo definisce uno zemaniano pentito, ad esempio. Due sono, al riguardo, le cose certe: il boemo andò a studiarlo a Empoli; il boemo è stato il suo primo avversario nella massima serie. In realtà, Spalletti mischia, ricicla, adatta, inventa. E ogni anno propone qualcosa di nuovo. Inedito magari no; nuovo sì. […] Nell’ambiente del calcio viene considerato una specie di maniaco: il suo lavoro – tra campo e computer – gli porta via almeno tre quarti della giornata» (Mimmo Ferretti). «È l’allenatore ideale per un calciatore che si vuole mettere in discussione, il peggiore per un calciatore che si sente già arrivato. Tutto ruota intorno a una convinzione e a un concetto. Il primo: cercare la qualità. Il secondo: arrivarci con l’applicazione» (Luca Valdiserri). «Dico sempre: se devo allenare un giocatore, voglio anche sceglierlo. Io come allenatore non faccio solo quello che mi piace, e gli altri come dirigenti non fanno solo quello che piace loro» • «Che calciatore è stato? "Grande voglia, spirito di sacrificio, umiltà. Numero 8, ma ho fatto anche il terzino, il libero, tutto tranne che portiere e attaccante. In un campionato ho segnato 11 gol, ma 9 erano rigori. L’‘anarchia’ era che ogni tanto mi veniva di fare un numero, un’azione individuale per dimostrare qualcosa a me stesso più che agli altri. Quello che adesso non sopporto dai miei giocatori, ogni tanto lo facevo"» (Gianni Mura). «“È il contesto dove sei nato a fare la differenza. Quando sei Floyd Mayweather, sai che farai il pugile. Quando nasci Manny Pacquiao, non lo sai, se farai il pugile, ma, se poi uno così lo diventa, andarci contro è come combattere con una corazzata. Se sento le pressioni? Dopo l’Empoli ho preso l’Ancona, che veniva da 13 sconfitte. Se inizi dal mio contesto, la paura la trovi sul bordo della strada. La sento fin dalla prima panchina, e spero di sentirla a lungo. Quando non la avverti più, sei piatto, non dài niente. Se non gestisci stress e pressioni non puoi vincere, perché non gestirai neppure il successo”. […] Ha più la personalità del costruttore o del rifinitore? “Passo da una fase creativa alla consistenza e alla solidità dell’esecuzione. Il termine ‘personalità’ viene dalle maschere che a teatro mettevano gli antichi Romani. Ha personalità chi è capace di calarsi in più ruoli. La doppia faccia non è falsità, ma una qualità che ti fa assumere quella giusta nella situazione giusta. Se sono un fantasista devo essere spensierato, però poi se devo rincorrere ho bisogno di uno sguardo feroce”. […] Dopo l’Inter, dove si immagina? “Ovunque, ma non in esilio: magari in una situazione già risanata, restaurata. Solo nel dizionario il termine ‘successo’ viene prima di ‘sudore’. Il successo è ciò che ispiri negli altri, quindi dico: dopo essere riuscito ad allenare l’Inter, vorrei diventare l’allenatore di una delle più grandi… Inter della storia”» (Guido De Carolis).