Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  marzo 07 Giovedì calendario

Giovanni Paolo II non credeva alla pista bulgara

Ci sono parole che girano attorno ai libri e, a volte, danno un senso – imprevisto – a quegli stessi libri. Chiamale dedica, esergo, fascetta di copertina, citazione, nota, risvolto... E capita che non sempre siano inutili. Come nel caso del nuovo romanzo di Antonio Ferrari. Titolo: Amen (Chiarelettere), la vera storia dell’attentato a Giovanni Paolo II. Diciamolo subito: la famosa «pista bulgara» è (era, è sempre stata) una bufala. C’è ben altro di mezzo: tanto marcio in Vaticano, trame di servizi segreti, cardinali canaglia, malavita agganciata a poteri politici, massoneria deviata, soldi sporchi.
La dedica: «A Francesco», il Papa di adesso. L’esergo: «Aereo papale, rientro da un viaggio. Giornalista: ”Santità perché vive a Santa Marta?”. Il Papa: “Per ragioni psichiatriche”». La fascetta di copertina: «A volte la verità è così vicina che ci sfugge» (Mario Rizzi, vescovo e nunzio apostolico a Sofia). Ma ora parliamo del libro (le frasi citate verranno bene dopo).
Piazza San Pietro. La gente è conquistata dal primo Papa non italiano dopo 455 anni. Mercoledì 13 maggio 1981, anniversario della apparizione della Madonna ai tre pastorelli di Fatima nel 1917, la papamobile si muove lentamente in piazza San Pietro. Alle 17.17 il ventitreenne turco Mehmet Ali Agca (appartenente al gruppo neonazista dei Lupi grigi, tiratore micidiale) spara due colpi al Pontefice. «Ma nella piazza gremita Agca non è l’unico a covare propositi omicidi. Mescolati alla folla ci sono anche coloro che devono controllare che tutto si svolga secondo i piani. Sicari al servizio dei tanti nemici del Pontefice, anche profondamente interni al Vaticano, che a fatto compiuto saranno pronti a eliminare il killer e a cancellare le tracce più compromettenti. Sanno bene che Agca rappresenterà – da vivo – un pericolo mortale. Hanno previsto tutto». Ma non che alle spalle di Agca si trovi «suor Letizia, al secolo Lucia Giudici, una vigorosa suora bergamasca, che si slancia d’istinto addosso al killer, lo immobilizza e ne impedisce la fuga, consegnandolo alla polizia».
Poi Ferrari ci trascina nel nero cuore dell’intrigo: «La sera, mentre la folla in piazza San Pietro attende in silenzio, tra lacrime e preghiere, notizie dal Policlinico Gemelli, dove Giovanni Paolo II lotta tra la vita e la morte, uno dei cospiratori, abbandonato l’appartamento in via della Conciliazione, raggiunge gli altri in una lussuosa casa privata romana per valutare il fallimento: il Papa è ancora vivo e Agca prigioniero. Disastro totale, se il killer aprirà bocca sarà una tragedia».
Da lì l’autore del romanzo ci porta a Milano, nella sede del «Corriere», dove i giornalisti si sono riuniti per azzardare qualche ipotesi sull’attentato. Ferrari è uno di loro; nel romanzo si chiama Anton Giulio Ferrer, inviato speciale del quotidiano, e ascolta «il celebre scrittore e drammaturgo cattolico Giovanni Testori che, tormentandosi il mento, domanda: “Che cosa pensate? A me vien da pensare a un’operazione congiunta della massoneria e della criminalità”». «Purtroppo – aggiunge Ferrari oggi – Testori non saprà mai quanto, con la sua naturale capacità di analisi e di comprensione del genere umano, sia andato vicino alla verità». Basta aggiungere le spire della finanza deviata, della corruzione politica, della malavita organizzata, dell’abominio della pedofilia che hanno avvinto il Vaticano. Ferrari-Ferrer le ha sfidate con le sue inchieste alla ricerca dei veri mandanti dell’attentato. Da Roma a Istanbul a Sofia in un turbinio di ricatti, cospirazioni internazionali e depistaggi come la cosiddetta «pista bulgara». Che cosa ci si poteva inventare di più plausibile di un assassinio politico ordito da un Paese satellite agli ordini di una Unione Sovietica che vedeva nel Papa polacco un pericolo addirittura per la propria sopravvivenza o, almeno, per la propria stabilità?
A smontare definitivamente l’imbroglio sarà lo stesso Wojtyla 21 anni dopo l’attentato con una mossa da nessuno prevista, rivolgendosi, durante la sua visita a Sofia, al presidente della Bulgaria. Ferrari-Ferrer c’era: seguiva la lunga inchiesta che lo ossessionava da decenni. Oggi scrive: «La sorpresa fu grande, anche per l’inviato milanese. Mai avrebbe immaginato che il Pontefice, con la voce ormai impastata, dopo aver lasciato cadere le cartelle del discorso ufficiale sul leggio, sollevasse il capo e dicesse: “Sappia, signor presidente, che non ho mai creduto, non credo e non crederò mai alla pista bulgara”. Qualche fideista della pista bulgara, quel giorno, preferì tacere. Anzi, fu messo a tacere proprio dal Pontefice». Amen, come il titolo del romanzo. Ma c’è un altro «amen» che suona come una bestemmia: è la parola-chiave che chiude quella che doveva essere la sentenza di morte per Wojtyla. A pronunciarla, in una trattoria romana, sarà un vescovo: «Lui, con il suo accento americano, non dirà nulla di più». Una parola, una condanna, un assassinio. Amen.
Ma Amen non è soltanto un romanzo-verità. Si arriva per gradi ai due colpi di pistola. Si arriva seguendo quattro religiosi. Li incontriamo giovani, all’inizio del libro. Ne lasceremo tre invecchiati e orgogliosi di aver dato un importante contributo al rinnovamento della Chiesa. Ma anche provati: «Abbiamo fatto un lungo percorso, abbiamo conosciuto le miserie del mondo, oh sì... anche le miserie della Chiesa». Il quarto, l’americano Patrick, non riuscirà a portare a termine la missione. Vittima da ragazzo di un alto prelato pedofilo, si unirà agli altri per portare alla luce gli oscuri traffici sessuali in cui è stato a forza coinvolto. Nell’amata Roma sarà eliminato per costringerlo al silenzio. Il prete italiano Marco e i francesi Michel, sacerdote, e Catherine, sorella laica, sono i fondatori di «Chiesa rinata», un movimento che vuole riavvicinare l’istituzione religiosa ai bisogni reali, attuali e spirituali dei fedeli. Tra Michel e Catherine corre anche una storia d’amore, che non intacca, anzi rafforza, la loro fede. Siamo ai tempi di Angelo Roncalli, nunzio a Parigi e poi patriarca a Venezia, amato dai progressisti, e del cardinale di Genova Giuseppe Siri, stimato dai tradizionalisti.
Dopo la morte di Pio XII, il 9 ottobre 1958, sono i candidati alla successione. E «le varie manovre di potere, cominciate da molto tempo, stavano avvicinandosi alla fatale sintesi. Fu a quel punto che si concretizzò un retroscena clamoroso. Non ci sono prove assolute né mai ci saranno», ma secondo i servizi segreti degli Stati Uniti e fonti della stessa sicurezza vaticana, «Giuseppe Siri aveva ottenuto i voti necessari per essere eletto Papa e aveva accettato la nomina, ma numerosi cardinali, soprattutto francesi e orientali, gli avevano chiesto di rinunciare in quanto l’elezione avrebbe provocato disordini, soprattutto nell’Est europeo comunista, mettendo a rischio la vita dei vescovi cattolici dietro la Cortina di ferro. Obbedendo alle pressioni, l’arcivescovo di Genova aveva dunque accettato di rinunciare» lasciando via libera a Roncalli, Giovanni XXIII: «La Chiesa rinata di Marco, Michel e Catherine aveva vinto la sua prima vera battaglia». E battaglie se ne incontrano tante nelle pagine di Amen. Al centro le successive elezioni dei Papi, il senso del Concilio Vaticano II, le infiltrazioni della mafia, gli intrighi di certa finanza cattolica, le manipolazioni di Licio Gelli e Roberto Calvi, un domani l’assalto al «Corrierone». Sì, c’è anche molto «Corriere» in questo libro. Perché è proprio partendo da via Solferino tante volte che Ferrer-Ferrari ha potuto scoprire quello che ci ha raccontato e ci racconta. Amen.