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 2019  marzo 06 Mercoledì calendario

Il Messico espelle più immigrati degli Usa

Considerati vittime della retorica anti-migranti di Trump, i messicani sono a loro volta spesso non troppo teneri verso immigranti che arrivano a casa loro. Una sindrome in realtà abbastanza normale, e che si evidenziò in particolare quando la carovana dei migranti centroamericani arrivo a Tijuana. Da una parte, sassate e minacce contro guatemaltechi, salvadoregni e honduregni. Dall’altra, il sindaco Juan Manuel Gastélum che definiva i migranti «vagabondi» e «spinellari» («vagos y mariguanos») e reclamava un referendum su di loro. L’impressione è adesso confermata da un dato preciso: tra 2012 e 2018 il Messico del presidente Enrique Peña Nieto ha espulso più migranti che non gli Stati Uniti di Obama e di Trump. E il fatto che Gastélum fosse della destra del Partito di Azione Nazionale mentre Peña Nieto era del Partito Rivoluzionario Istituzionale, dimostra come in realtà un certo atteggiamento non sia proprio solo di una parte dello schieramento politico.
LO STUDIO Lo studio è stato fatto da alcune organizzazioni specializzate: tra di esse il Global Detention Project, Sin Fronteras, Fundar e Asilegal. «La detenzione migratoria: analisi a partire dal modello penitenziario e dalla spesa pubblica», è il titolo. La tesi è che l’amministrazione di Peña Nieto avrebbe «consolidato una politica di detenzione di stranieri senza documenti come regola». Secondo i dati pubblicati, tra 2013 e 2017, sono state 686.545 le detenzioni di stranieri senza documenti in Messico: il 18 per cento di minori di 18 anni. E questa già sarebbe la seconda posizione mondiale dietro agli Stati Uniti: il Messico si sta dunque trasformando da Paese di transito in Paese di destinazione. Ma quando poi si va alla cifra delle persone espulse si arriva al primo posto: 604.355, pari all’88 per cento del totale. Il rapporto indica anche che il 32 per cento delle detenzioni sono state fatte da agenti di corpi di sicurezza diversi dall’Instituto Nacional de Migración (Inm): cosa che potrebbe avvenire solo su richiesta esplicita dello stesso Inm. Tra 2010 e 2016 le detenzioni migratorie sono triplicate: da 70.102 a 190.000. E ciò malgrado dal 2008 una nuova legge avesse depenalizzato l’immigrazione irregolare. Secondo Amnesty International, anzi, il 75 per cento dei detenuti dall’Inm non erano stati informati del loro diritto a sollecitare asilo in Messico, malgrado la legge imponesse di farlo. Evidentemente l’irrigidimento è dovuto al fatto che sempre più centroamericani in transito attraverso il Messico verso gli Stati Uniti, quando constatano la difficoltà di passare – già ai tempi di Obama – si adeguano a rimanere nel Paese, che comunque trovano più prospero e perfino tranquillo di quelli da cui vengono. Dalle 2000 richieste di asilo che la Comisión Mexicana de Atención a Refugiados (Comar) aveva ricevuto nel 2014 nel 2018 era arrivata a ben 23mila. Ovviamente si potrebbe obiettare che ormai il governo è cambiato, e al posto del Pan o del Pri è ora presidente il leader della sinistra Andrés Manuel López Obrador: o Amlo, come lo chiamano. 
ANCHE LA SINISTRA Ma anche lui aveva fatto in realtà campagna elettorale promettendo di istituire una forza di controllo della frontiera direttamente ispirata alla United States Border Patrol americana: da spiegare sia al confine meridionale che a quello settentrionale «per evitare che stranieri senza documenti, droghe e armi entrino in Messico dal Centroamerica». Ancora il 18 febbraio sono stati arrestati deucento migranti centroamericani che avevano attraversato la frontiera sud, e il 6 febbraio polizia e esercito hanno rastrellato altri 1800 centroamericani che si erano raccolti in una fabbrica abbandonata nei pressi del confine con il Texas. E in una conferenza stampa, lo stesso Andrés Manuel López Obrador ha appena riconosciuto la piaga degli agenti di migrazione corrotti che estorcono tangenti ai migranti: non solo alle frontiere di terra, ma anche negli aeroporti. Gente che non ha diritto entra pagando, e gente che avrebbe invece diritto a entrare viene rallentata con lungaggini burocratiche inventate apposta e che in Messico definiscono con il nome espressivo di «tortuguismo»