Corriere della Sera, 6 marzo 2019
Intervista a Lisa Vittozzi con fucile in spalla
Lisa dagli occhi blu ha messo la freccia. Cresciuta in silenzio all’ombra di Dorothea Wierer, undici giorni dopo aver compiuto 24 anni Lisa Vittozzi ha sorpassato Miss Biathlon in vetta alla classifica di Coppa del Mondo. Grazie al sesto posto nell’inseguimento sulla neve fatata di Soldier Hollow (Utah), il luogo delle magie di Stefania Belmondo e Gabriella Paruzzi all’Olimpiade di Salt Lake City 2002, la perla di Pieve di Cadore ha indossato per la prima volta nella carriera il pettorale giallo di leader: «Se qualcuno me lo avesse raccontato, giuro che non ci avrei creduto».
Che a Lisa piaccia o no, al Mondiale di Östersund al via domani con la staffetta mista sarà una delle donne da battere. Non ci si può più nascondere: uscita dal mucchio con la vittoria nello sprint di Oberhof, prima biathleta italiana (maschi inclusi) a confermarsi due giorni dopo, nella stessa località, nell’inseguimento, sta vivendo la miglior stagione di sempre. Vittozzi from Italy: il Grande Nord del tiro sugli sci stretti è avvertito.
Lisa, il momento è d’oro. È pronta a rompere il ghiaccio con una medaglia iridata individuale?
«Parto con l’umore alle stelle per l’appuntamento più importante della stagione. E ci arrivo con il pettorale giallo e con quello rosso di leader di specialità. Chi l’avrebbe mai detto! Non potrei essere più soddisfatta e mi riprometto di non sentire la pressione».
Auguri.
«Cioè la pressione la sentirò, però non voglio caricarmi di troppe aspettative: all’Olimpiade di Pyeongchang, l’anno scorso, ho commesso l’errore di volere troppo e alla fine non ho stretto niente».
Be’ proprio niente, no: in Corea del Sud ha vinto il bronzo nella staffetta mista...
«Sì, certo, ma io volevo la medaglia individuale, che è sfumata perché ero troppo sicura di me stessa».
Un errore da non commettere più.
«Eh ma il biathlon è complesso: fondo, poligono, gestione tattica. Una gara è fatta di tante cose».
Quando ha fatto clic, Lisa, tanto da battere e scavalcare la Wierer?
«Non saprei, non me ne sono neanche resa conto. Avevo buone sensazioni sugli sci e al poligono, ma il biathlon raramente rispecchia come ti senti e io cerco di non farmi troppe paranoie. Dalle due vittorie di Oberhof, totalmente inaspettate, è stato un crescendo di fiducia, consapevolezza e certezze. Fino ad Anterselva, dove Dorothea ha vinto l’inseguimento e io sono arrivata terza, non mi ha fermato nessuno. Le tappe americane le ho corse di testa: ho capito che il fisico era stanco».
Una prova di maturità.
«Sono un Acquario testone, non mollo mai. Fa parte del mio carattere. E imparo molto dalle sconfitte: il quarto posto di Pyeongchang nella mass start è stata una martellata in testa. Da lì è scattata la voglia di dimostrare che ci sono anch’io».
Perché proprio il biathlon, in principio?
«Ho iniziato con il fondo per passare il tempo con i compagni di classe. E se metti un fucile in mano a una ragazzina, dalle mie parti, è facile che se ne innamori. Andavo alla fiera a buttar giù lattine: stavo lì anche tutto il giorno, finché non le abbattevo tutte».
Rapporto con il fucile?
Compagne e rivali
Con la Wierer
ci rispettiamo, ma voglio vincere. In Italia, però, conta soltanto il calcio
«L’ho voluto bianco: il mio colore preferito. Lo personalizzo, lo pulisco quando devo ma non ci parlo. È uno strumento di lavoro».
E il suo fidanzato Marco come convive con il fucile?
«Gestisce due bar a Santo Stefano di Cadore: mi fa piacere che lavori tanto, così gli manco di meno».
Idoli da ragazzina?
«Shevchenko e Kaká perché tifavo Milan. Oggi invece tifo Juve».
Cosa è successo nel mentre?
«Mi sono disamorata quando il Milan è stato comprato dai cinesi: da lì in poi non l’ho più sentito italiano. Speravo che questo fosse l’anno giusto per vedere una partita di Champions allo Stadium, ma dopo Atletico-Juve non ne sono più così certa...».
Cosa avrà sul comodino a Östersund, Lisa?
«Un libro. Mi piacciono i gialli di Nesbø, i romanzi e le storie particolari, tipo “Le sette sorelle” di Lucinda Riley. E il tablet per le serie tv: le ho viste tutte».
Se il Mondiale andasse molto bene, andrebbe in tv a promuovere il suo biathlon?
«Ci andrei, ma il problema in Italia è il troppo spazio che si dà al calcio. Anche quando vinciamo, ci dedicano un trafiletto. Intorno al pallone girano troppi soldi: non si cambierà mai».
Com’è il rapporto con la Wierer, tra compagne di squadra e rivali?
«Quando sono entrata in Nazionale, il mio punto di riferimento era Dorothea. Volevo arrivare al suo livello: per me è stata fondamentale. Abbiamo un rapporto di rispetto e stima reciproca. Vedremo chi vincerà il derby a Östersund».
Non una cliente facile.
«Non lo sono nemmeno io».