Corriere della Sera, 6 marzo 2019
Intervista a Anastasio
«Il genitore deve fare il genitore, non l’amico»; «L’iperstimolazione di una metropoli anestetizza, la noia di una cittadina di provincia sollecita la ricerca»; «I tatuaggi li fanno solo quelli in cerca di identità». Scusi, ma quanti anni ha? «21». Solo? Sembrava che ne avesse qualcuno in più.
Perché chiacchierando con Marco Anastasio, in arte solo il cognome, il corto circuito tra età anagrafica, aspetto fisico e pensieri è quasi garantito. Insomma, non è per nulla facile inquadrare questo ragazzo (?) cresciuto in provincia di Napoli, a Meta di Sorrento, che ha conquistato «X Factor» con il piglio di un veterano e che ora sta «scaldando» la gola per il suo primo tour, una ventina di date molte delle quali già esaurite. Si parte tra pochi giorni (il 20) da Trezzo sull’Adda, passando poi da Milano, Torino, Roma, Napoli, fino ad arrivare a luglio al Lucca Summer Festival.
A proposito di ugola: perché urla tanto quando canta?
«Così comunico meglio le mie frustrazioni. Tra pochi anni magari smetterò, per il momento è uno sfogo».
Lo sa che ha un’espressione sofferente che fa un po’ a cazzotti con la sua giovane età?
«In realtà è finta, faccio così per stanare le persone».
Quale sarebbe l’obiettivo?
«Semplice: loro si compenetrano nel mio tormento, abbassano le difese, e così io riesco a far emergere i disagi che hanno dentro».
Perché fa questo?
«Sono convinto che sia la missione di ogni artista: distruggere per poi ricostruire».
Potrebbe essere un po’ più chiaro?
«Provo a combattere ogni menzogna, che può essere anche il finto benessere. A quel punto, svelata la bugia, l’unica possibilità che la gente ha di vivere con maggiore coscienza è di iniziare a ricostruire nuove verità».
Non è mica facile intuire tutto questo dietro quella «semplice» fronte corrucciata...
«Perché il pubblico conosce soltanto una parte di me, l’immagine idealizzata. Tutti pensano ad esempio che a “X Factor” io abbia sparato tutte le mie cartucce per battere la concorrenza con il brano “La fine del mondo”. Invece non è così, ho messo in campo soltanto una percentuale del mio potenziale. E tra l’altro la mia partecipazione al talent è stata del tutto casuale».
Come casuale? Ma se è arrivato a Sky grazie alle selezioni della Campania Music Commission. E sembra che nessuno l’abbia obbligata a partecipare a quei provini: vero?
«Assolutamente vero. Però se avessi saputo che si trattava di un test di ammissione per “X Factor” non ci sarei andato, mi avevano detto che era un’esibizione legata alla Sony. Perché io già fatico a sentire il calore del pubblico, figuriamoci sul palco di uno show televisivo».
Ma si rende conto che è complicato stare dietro ai suoi ragionamenti?
«Il fatto è che sono un insaziabile, vorrei arrivare alla completezza».
Abita ancora a Meta di Sorrento?
«Non ho nessuna intenzione di muovermi da lì».
Continua a preferire la vita di provincia, anche adesso che potrebbe trasferirsi in città?
«L’iperstimolazione di una metropoli anestetizza, la noia di una cittadina sollecita la ricerca. Ma poi perché dovrei andar via? Per andare dove? E a fare cosa? No no, io resto qui. In penisola si sta bene, è un posto di villeggianti, non accade nulla e in questo vuoto trovo le mie ispirazioni. Spesso porto Ago, il mio cane bassotto, in riva al mare e passeggiando in quella solitudine mi vengono le idee per i miei pezzi».
Com’è cambiato il suo rapporto con le ragazze dopo la vittoria a «X Factor»?
«Sto vivendo il capovolgimento del mio stato: prima non spiccavo nelle tattiche per conquistare una donna, mi sarei dato a stento una sufficienza...».
E adesso?
«Non c’è paragone. Però in amore resto un cauto e comunque non mi va di essere rimorchiato, mi piace conquistare».
Come si definirebbe?
«Un realista brutale».
Sarà per questo che in «Correre», il brano inedito che in qualità di ospite ha fatto ascoltare all’ultimo Festival di Sanremo, non ha timore di scrivere: «Tuo figlio idolatra un idiota che parla di droga e di vita di strada». E non è difficile intuire a chi si riferisce...
«Ma io non ce l’ho mica con i rapper o i trapper, piuttosto me la prendo con i genitori che non si accorgono che i loro figli non hanno più modelli positivi con cui confrontarsi. Dovrebbero fare i genitori, non gli amici, discutendo con loro della totale mancanza di spessore di Sfera Ebbasta: dimostrarsi complici, condividendo questa passione giovanile, non produce nulla di buono. Gli eroi di un tempo non esistono più, oggi sono diventati di carta, e con i figli bisognerebbe parlare anche di questo».
Sempre in «Correre» c’è un verso che recita: «Voglio i miei vent’anni...». In fondo si accontenta di poco: lei ne ha 21, ne vuole appena uno indietro?
«Quando ho composto questa canzone pensavo a mio padre: mi diceva che a quella età aveva il mondo in mano, che la sua generazione si sentiva forte, libera. E invece, come canto in “Correre”, noi “siamo chiunque e non siamo nessuno”».
Ha nostalgia di un tempo che non ha mai vissuto?
«Ho paura di un tempo senza identità. Ecco perché in “Correre” urlo: “Passo giornate ad aggiornare una pagina solo per vedere chi mi ama e chi no. Bruciano gli occhi, lo schermo mi lacera, guardo la vita attraverso un oblò”. I ragazzi di oggi sono fluidi, non hanno sostanza. È un po’ come la storia dei tatuaggi...».
Che c’entrano i tatuaggi?
«Sono un modo come un altro per affermarsi. Si dà tanto importanza a quei disegni sulla pelle, ma in realtà sono pura estetica, moda, non hanno alcun significato. In mancanza di altri valori, diventano un artificio per definirsi».
Però anche lei insegue le mode: il rap non è per caso la tendenza musicale del momento?
«Sicuramente è una forma d’arte semplice, ma non è detto che non si possa esprimere qualcosa di intelligente e profondo. Per intenderci, credo di essere lontano anni luce dalla Dark Polo Gang, un gruppo che bada di più all’immagine che alla sostanza».
Lei frequenta l’università di Agraria: questo tipo di studi l’aiuta nella stesura dei brani?
«Direi proprio di sì, le nozioni scientifiche mi danno una visione diversa del mondo».
Forse è per questo motivo che ama spaccare il capello in quattro.
«Chissà... Resta il fatto che capire la struttura degli atomi è molto interessante, ti aiuta a comprendere la complessa organizzazione degli elementi».
Vive a Meta di Sorrento, ma è nato in un paesino a pochi chilometri di distanza, a Vico Equense: conferma?
«Confermo».
Il nonno materno di Bruce Springsteen, Anthony Alexander Andrew Zerilli, era di Vico: lo sapeva?
«No. E magari adesso scopro di essere parente del Boss».