Corriere della Sera, 6 marzo 2019
La Rai, Verdelli e il cactus
Carlo Verdelli aveva un grande difetto. Imperdonabile. Non sapeva che esistessero le yogurterie. E Antonio Campo Dall’Orto uno ancora più grave. Quello di aver assunto uno dei migliori giornalisti italiani, serio, preparato dopo aver constatato, di persona, la devastante lacuna. Sì perché una delle più brevi e tormentate stagioni della Rai è segnata dall’incontro, nel settembre del 2015, fra l’allora direttore generale e l’ex vicedirettore del «Corriere della Sera», ex direttore della «Gazzetta dello Sport», da poco al vertice di «Repubblica». Doveva avvenire, su scelta di Campo Dall’Orto, in una yogurteria di corso Genova a Milano. Ma era sfortunatamente chiusa. I due si diressero allora in una famosa pasticceria stile liberty. Non si erano mai conosciuti prima. Che strano, il numero uno della più grande azienda culturale del Paese aveva deciso di sondare la disponibilità di un professionista per riorganizzare l’offerta informativa, basandosi unicamente sulla sua storia personale. Cercando il profilo giusto. No, inaccettabile. C’era già allora qualcosa che non andava. Campo Dall’Orto (l’autore lo chiama nel libro, chissà perché, il Celeste, il soprannome sfortunato di Formigoni) scelse in assenza di yogurt di bere una tisana. Un segno del destino. Ne sarebbero state necessarie molte altre di tisane nei burrascosi mesi a venire. «Scusa Antonio. Tu sei lì perché ti ci ha messo Renzi, giusto? Gli hai detto di me?». Risposta del direttore generale: «Non credo sia necessario». Ma poi glielo dirà ricevendo una risposta tranquillizzante: conta il curriculum. Bene. Verdelli racconta il primo colloquio con Campo Dall’Orto, in sigla Cdo, nelle pagine iniziali del suo libro Roma non perdona. C ome la politica si è ripresa la Rai, edito da Feltrinelli, in libreria da domani. Non sapeva allora che avrebbe poi diretto «Repubblica» (sede principale a Roma) se no il titolo sarebbe cambiato. Ma può essere anche un portafortuna. Ce lo auguriamo.
«La Rai mi ha espulso come un corpo estraneo – scrive l’autore – gli ultimi che sono entrati nella grotta romana di Polifemo per curargli la vista non ne sono usciti benissimo. Il gigante se li è mangiati e poi li ha sputati a pezzettini. Parola di pezzettino». La grotta è di tutto rispetto – si legge nelle prime pagine – 13 mila dipendenti, 1.729 giornalisti, età media 51 anni, 10 testate giornalistiche, 13 canali televisivi, 10 canali radio, 9 centri per le produzioni tv e 5 per la radio, 11 sedi di corrispondenza all’estero. Ma la Rai, nota l’autore, è una comparsa sulla Rete, irrilevante sui social network. C’è tanto da fare per il nuovo direttore editoriale delle news che atterra al settimo piano di viale Mazzini, crea la propria squadra, ingaggia tra gli altri Francesco Merlo, e si mette subito a lavorare al piano per l’informazione. Con abnegazione e passione. Altra attitudine inconcepibile. Doveva, invece, coltivare meglio le relazioni, frequentare più i corridoi. Verdelli ha molte qualità ma non è un diplomatico. Si accorge di avere una vasta opposizione interna. I pregiudizi abbondano. Gliene dicono di tutti i colori. Non sa niente di tv. Un usurpatore di cariche. L’Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai, non gradisce. «Si parte con il piede sbagliato». I rapporti con la presidente, la collega Monica Maggioni, sono, per usare un eufemismo, pessimi. Per non parlare dei membri del consiglio d’amministrazione con l’eccezione del renziano Guelfo Guelfi. Arturo Diaconale è l’unico consigliere che vota contro la sua nomina. Perché? Sostiene che, venendo dal «Corriere» e avendo collaborato con «Repubblica», Verdelli è espressione di «un certo tipo di rapporti con due lobby molto forti, la Fiat e De Benedetti, che sono i due puntelli principali del premier». Insomma, un lobbista. Dicono che è stato folgorato sulla via della Val di Chiana. Un «renziano della seconda ora». Ma soprattutto quello che colpisce Verdelli è lo straordinario spiegamento di fuoco amico, cioè proveniente dalla stessa maggioranza di governo e dal cerchio magico renziano, che si forma come d’incanto dopo le sue prime scelte e sarà via via sempre più intenso. Soprattutto quando il direttore delle news apprende dall’agenzia di stampa Ansa (una costante della Rai, le comunicazioni interne arrivano sempre dall’esterno) che Bruno Vespa a Porta a Porta intervisterà il figlio di Riina, Salvo. È l’aprile del 2016. Le reazioni sono sdegnate. Cdo non ne sa nulla. Decide Verdelli: dire no all’intervista vorrebbe dire no all’autonomia. Chiama Vespa e gli propone di aggiungere una breve introduzione: «Quella che state per vedere è l’intervista a Riina junior, un mafioso che parla da mafioso, figlio di un mafioso con nove ergastoli». Aggiunge Verdelli: «Per una notizia, il che va tutto a suo onore, il sornione Vespa si butterebbe da un treno in corsa». Michele Anzaldi, definito il pallido Lothar di Renzi, vuole la testa del direttore editoriale. Più avanti dirà: «Mi faccio esplodere sulla Rai per far capire che il direttore generale si sta muovendo in senso contrario a quello sperato. So che anche nel governo questo andazzo non piace...». L’attuale presidente della Camera Roberto Fico, allora capo della Commissione di Vigilanza, disse che il «punto oscuro della Rai era la struttura che fa capo a Verdelli», seguito dalla solita affermazione: fuori i partiti dalla Rai. Nota, con amarezza, l’autore: «Loro sì che hanno liberato il servizio pubblico: dagli altri».
È tutto da leggere il capitolo intitolato «A pranzo con il Re Sole», cioè l’allora presidente del Consiglio, il 17 marzo del 2016. Verdelli e Cdo sono al Casino del Bel Respiro, sede di alta rappresentanza. «Renzi si toglie la giacca blu, se la appende al dito indice dietro la spalla, slaccia i primi bottoni di una camicia molto bianca e ci mostra un po’ di petto: “Visto che abbronzatura?”. Fingiamo entrambi meraviglia. “E sapete dove l’ho presa? Lì, dietro quel muretto... Quando c’è questo bel sole mi faccio portare una sdraio e sto lì un’oretta tutto ignudo, solo con gli slip”. E se la vedono presidente? “Mica sono scemo. Da questo punto preciso, quello dove metto la sdraio, non mi può beccare nessuno, neanche il paparazzo più furbo, manco i droni”». Il capitolo ha un post scriptum. «Caro Matteo, a proposito di share e numeri televisivi. I dati della Rai che proprio tu avevi voluto non erano male, eppure dubito della tua estraneità circa l’espulsione di chi li aveva ottenuti. Forse, dico forse, l’hai addirittura incoraggiata, attribuendo al Servizio pubblico la colpa, tra le tante, di non aver fatto abbastanza per farti vincere quel maledetto referendum». Verdelli si rammarica di non aver potuto fare nulla per impedire la chiusura di due programmi di giornalisti scomodi come Massimo Giannini (Ballarò) e Nicola Porro (Virus). Aveva proposto di far tornare Gad Lerner e Michele Santoro. Invano.
Veti, fuoco amico, fughe di notizie, lobby e intrighi visti con gli occhi dell’ex direttore dell’informazione del Servizio pubblico
L’episodio che fa precipitare la situazione è l’anticipazione su «L’Espresso» del piano editoriale per l’offerta informativa. Ovvero la riduzione delle edizioni, il varo di Newsroom Italia, con un maggiore coordinamento tra Rai News24 e Tgr, la nascita di TgSud, il trasferimento del Tg2 a Milano, l’accorpamento delle sedi regionali. Risparmio: 200 milioni l’anno. Ce n’erano tre copie. Ma una viene fatta filtrare al settimanale. «Si aprì la botola dell’inferno». Merlo si dimette: «Non ci sono le condizioni per portare a termine il compito che mi era stato offerto, temo non ci siano mai state». Verdelli rimette il mandato il 3 gennaio 2017 dopo un consiglio informale nel quale non è nemmeno invitato. Escono le agenzie prima che finisca la riunione: «Addio al piano news di Verdelli». Cdo tenterà poi di attuarne una parte sostenendo la candidatura di Milena Gabanelli per favorire lo sviluppo digitale. Niente da fare. Lascerà poi nel giugno successivo. «La Rai è diversa, fa storia a sé, è l’unico posto conosciuto dove il Sole gira ancora intorno alla Terra».
La politica si è ripresa la Rai. Tocca agli altri. Impegnati nel far rimpiangere chi veniva prima. Verdelli ricorda una frase del vicepremier Luigi Di Maio, secondo la quale la più grande sfida del suo governo è quella di «mettere le mani sulla Rai, farla ripartire e garantire il merito, una sfida che dovrà essere combattuta non solo dal presidente Marcello Foa e dall’amministratore delegato Fabrizio Salini ma da tutti noi politici tenendo le mani della politica il più lontano possibile dalla Rai». Metti le mani, togli le mani. «Genere – conclude Verdelli – metti la cera, togli la cera del maestro Miyagi a Karate Kid».
P.s. Appena arrivato al settimo piano di viale Mazzini, Verdelli trovò nel suo ufficio un gigantesco cactus, alto più di due metri. «Mai capito chi l’avesse ordinato». Non c’era colloquio nel quale non si parlasse della ingombrante pianta africana capace di rovinare con le sue spine qualche giacca. Defenestrati Verdelli e Cdo, è sparito anche il cactus. Un altro dei misteri Rai.