la Repubblica, 6 marzo 2019
La Abranovic in forma di ologramma
Alla Serpentine Gallery di Londra, Marina Abramovi? ha presentato la sua nuova opera. Dove, per la prima volta, appare come un ologramma Trasformando così in “virtuale” la più concreta delle espressioni artistiche Un tempo si andava a Medjugorje per vedere la Madonna, oggi possiamo più comodamente andare in un museo tipo la Serpentine Gallery di Londra e fare un’esperienza simile. È successo qualche giorno fa, nella settimana dal 19 al 24 febbraio. La Madonna che potevamo vedere era Nostra Signora Abramovi?, che appariva per ben 19 minuti a patto di essere disposti a indossare gli occhiali necessari per rendere la visione reale. Infatti, se qualche anno fa Nostra Signora Abramovi?, all’anagrafe Marina, la si poteva ammirare per 750 ore seduta al Museum of Modern Art di New York in carne ed ossa, oggi, grazie alla tecnologia della mixed reality, un misto fra realtà virtuale e realtà reale, la Madonna dell’arte contemporanea può apparire e scomparire dentro un museo senza dover nemmeno uscire di casa. La gente, indossando questi occhialini super sofisticati senza dover essere nemmeno credente, può illudersi di vedere la vera Abramovi?. Al MoMA il titolo della performance era The Artist is Present: l’artista è presente. A Londra il titolo avrebbe dovuto essere “l’artista è assente”. Invece era più generico: The Life, “La vita”. Anche se sarebbe stato più appropriato Death, “morte”. Perché con questa trovata da museo dell’ologramma Marina Abramovi? muore come performer e provocatrice. Trent’anni fa, alla Biennale di Venezia, la trovavamo sudata, intenta a lavare dai resti di carne e di sangue una montagna di ossa. Erano i tempi della guerra dei Balcani e lei, serba, con questa sua eccezionale performance ricordava allo spettatore i massacri che si stavano consumando dall’altra parte del mare Adriatico, a poca distanza dai tavolini del Caffè Florian. Oggi, nonostante altre tragedie si consumino sempre a due passi da casa, Marina Abramovi? è stanca. Preferisce farsi riprendere da trentasei telecamere in uno studio, come se fosse la sua stessa scultura di cera pronta per essere installata al museo di Madame Tussauds, anziché sfiancarsi a pulire ossa o stando seduta a guardare la gente negli occhi dalla mattina alla sera. Preferisce stare lì vestita di rosso a braccia aperte a non fare nulla. Alla Serpentine era lo spettatore che doveva resistere 19 minuti nella speranza che succedesse qualcosa, che la Madonna desse un’indicazione, un suggerimento, un indizio, una previsione, un ordine. Nulla. L’immagine tridimensionale stava lì e poi puff! Scompariva, lasciando una scia di puntini blu e la sua ombra per qualche momento. Ci trovavamo davanti, come avrebbe potuto dire Sant’Agostino, ad un corpo dotato di assenza. Un po’ il contrario dell’arte della performance praticamente inventata dalla Abramovi? stessa che era un modo di far diventare il corpo umano opera d’arte. Oggi non c’è più nemmeno bisogno di questo per essere arte, ma solo di una, per quanto complicatissima a realizzarsi, proiezione. Ma, per quanto sofisticata e complessa sia questa nuova tecnologia di realtà mescolata con la virtualità, non è ancora in grado di fare i conti come si deve con l’arte. Quando Paolo Uccello nel 1400 inventò la prospettiva, che per quei tempi era una forma di realtà virtuale, la utilizzò nei suoi dipinti. Chi guardava e chi ancora oggi guarda queste fantastiche opere non deve però mettersi degli occhiali per godersele. Questo per sottolineare che la tecnologia, per funzionare nell’arte, deve essere invisibile, altrimenti l’esperienza emotiva va a farsi benedire. Anziché guardare l’arte, ci si concentra a non sbattere contro un muro o contro un altro spettatore. L’artista che insegue troppo la tecnologia vuol dire che ha dei problemi con la propria immaginazione. Marina Abramovi?, nei momenti migliori della sua carriera, era stata in grado di dare voce al corpo, riempendolo di contenuti. Oggi, smaterializzandosi, si è anche svuotata di questa sua forza dirompente. Certo, volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, questa smaterializzazione della Abramovi? qualche vantaggio potrebbe averlo. Presto non dovremo nemmeno spostarci da casa. Potremo scaricare l’artista da un’app e avercela in salotto, in cucina o magari in stanza da letto prima di andare a dormire. La performance era qualcosa legata ad un’azione e ad una presenza. Così dematerializzata chissà se si potrà chiamare performance, forse si dovrà chiamare “informance”. Un’informazione con la forma di un corpo. Una fake view in tempi di fake news. Ma nell’arte il falso non è mai visto di buon occhio e, se la performance è stata spesso vista dai non addetti ai lavori con sospetto e ostilità, per gli appassionati trovava la sua ragione di esistere proprio nella verità della presenza fisica dell’artista. Di questa presenza la Abramovi? aveva fatto il suo cavallo di battaglia. Pensiamo al fastidio e all’impaccio che lo spettatore provava quando era costretto a passare fra due corpi nudi, sfiorando le parti intime dei due giovani che l’Abramovi? aveva utilizzato in una delle sue più famose performance degli anni Settanta. Se quest’opera venisse tradotta in un’immagine incorporea grazie alle nuove tecnologie perderebbe ogni significato. Significato che oggi scompare, infatti, quando l’artista appare come il genio, poco geniale ma molto banale, di una lampada sì, ma quella di un proiettore.