la Repubblica, 5 marzo 2019
Effetto Meghan in passerella
Oltre all’essere tutte e due inglesi in trasferta sulle passerelle francesi, Stella McCartney e Clare Waight Keller hanno un altro punto in comune: Meghan Markle. Sono loro infatti i due abiti scelti dall’attrice americana per il matrimonio con il principe Harry dello scorso maggio, salutato come l’evento mediatico del decennio (ci si accontenta di poco oggigiorno): del Givenchy di Waight Keller era il vestito indossato in chiesa, e di McCartney quello per la festa serale. Entrambi sono stati salutati come il segnale di una nuova eleganza, il che è vero: le due designer sono espressione di uno stile femminile in quanto pensato per le donne che lo indossano, e non per chi le guarda. Concetto sottile ma sempre più importante, come dimostrano le scelte della duchessa. Stella McCartney per la verità su questo principio ci ha costruito il suo brand. Il mix tra casual, sartoria maschile e sprazzi di femminilità più classica che caratterizzano la sua moda sono un marchio di fabbrica: per questo preoccupava che nelle ultime stagioni si fosse un po’ perso tra esperimenti vari. Probabilmente l’essere tornata indipendente (lo scorso marzo ha ricomprato la quota di Kering) l’ha fatta pensare: un’ottima cosa, a guardare la collezione. «È il mio dna ripensato per unire le generazioni», spiega nel caos di fine show. Il significato di quel rimpallo tra epoche, linee e indumenti è dato da chi indosserà certi pezzi. «A me va bene tutto, basta che abbiano una funzione per chi li porta», dice. La stilista in questi giorni ha lanciato #thereshegrows, progetto per la riforestazione, mentre i gioielli enormi visti in passerella sono opera di Sheila Hicks, secondo McCartney l’artista tessile più saccheggiata dalla moda: merita un riconoscimento.
Clare Waight Keller ha scelto una passerella lunga centinaia di metri per dare vita alla sua idea di donna di potere per Givenchy. «Ho voluto raccontare come a inizio anni Novanta l’aristocrazia sia diventata parte della cultura urbana, con le giovani ereditiere che mescolavano i tailleur dal taglio perfetto e gli abiti da debuttante delle nonne con jeans, piumini e giubbotti di nylon». Fa sorridere che parli di aristocrazia, visto che oggi è lei “la” stilista di Meghan. Qui emerge però un power dressing universale, che ne riprende l’immaginario degli ultimi 20 anni, dalle amazzoni del Gucci di Tom Ford (con cui la designer ha lavorato) ai pezzi indeformabili Pleats Please di Issey Miyake, creati per le business women sempre in viaggio. Il risultato è forte, forse per alcuni troppo: lei non si tira indietro, che siano la linea delle spalle, i ricami sugli abiti da sera o le proporzioni. Non sarà per tutti, però lascia il segno.
Un’altra che le donne le veste sul serio è Chitose Abe, che con Sacai è diventata una delle voci più rispettate dell’ambiente (in molti s’ispirano più o meno segretamente a lei). Questa stagione prende i basici del guardaroba (il trench militare, il pullover da marinaio, il giubbotto di denim...), li ingigantisce e li riadatta al corpo con riprese, pinces e pieghe. Risultato spettacolare, e portabile. E poi c’è Giambattista Valli: lui veste buona parte del jet–set internazionale, ma qui ha guardato ai suoi 20 anni di vita a Parigi, e alle immagini cariche d’erotismo di un fotografo simbolo della città, Guy Bourdin. Bello essere sfrontati ogni tanto.