Il Sole 24 Ore, 5 marzo 2019
Palladio più caro dell’oro, ipotesi bolla
Ormai è più prezioso dell’oro e vale oltre il doppio del platino. Ma il palladio non ha ancora fermato la sua corsa. Il metallo, usato soprattutto nelle marmitte delle auto a benzina e ibride, da mesi brucia un record dopo l’altro, con una progressione che rafforza il sospetto di una bolla speculativa. Anche la barriera psicologica dei 1.500 dollari l’oncia è caduta in fretta, come le precedenti: il palladio, che aveva sorpassato 1.000 dollari appena sei mesi fa, ora guarda già verso «quota 1.600», dopo essersi spinto pochi giorni fa al massimo storico di 1.565 $/oncia. L’oro, dopo un avvio d’anno incoraggiante, con punte oltre 1.340 $/oz, record da dieci mesi, ha ripiegato sotto 1.300 dollari. Il platino, considerato più “nobile” del palladio, è fermo intorno a 860 dollari, per non parlare dell’umile argento, che a malapena supera 15 dollari l’oncia. Quello del palladio è un rally in apparenza irresistibile, che da tempo lascia a bocca aperta. Nel 2019 il metallo ha guadagnato quasi il 30% – una performance superiore persino a quella del petrolio (il Wti è su di circa il 25% a 56 $/barile – e in tre anni ha più che triplicato il suo valore, anche se la traiettoria non è sempre stata lineare.
Il palladio aveva già sorpreso nel 2017, rincarando di circa il 50% e superando il platino: un sorpasso che all’epoca molti ritenevano temporaneo. Nel 2018 il prezzo è addirittura raddoppiato, sia pure dopo fasi di forte volatilità, che ad agosto lo avevano fatto scendere sotto 850 $/oncia, all’epoca il minimo da un anno. A quel punto è come se messo il turbo: da dicembre è più caro dell’oro.
Una bolla? Forse sì. Un numero crescente di esperti ne è convinto e oggi mette in guardia dal rischio di una brusca correzione. Sono di questo parere ad esempio gli analisti di Ubs e Saxo Bank. E Julius Baer ha appena confermato la previsione di un prezzo di nuovo a 1.000 $/oz tra 12 mesi. La speculazione è comunque solo in parte responsabile del rally. Da otto anni il mercato del palladio è in deficit di offerta e oggi ci sono forti segnali di scarsità. Le scorte, che a lungo avevano soddisfatto buona parte del fabbisogno, sono infatti scese a livelli critici: secondo le stime (non facili) nei magazzini di tutto il mondo sarebbero rimaste tra 10 e 18 milioni di once di palladio, equivalenti a 1-2 anni di consumi, afferma un report di Heraeus.
Le scorte di Stato russe – un tesoro un tempo immenso, detenute nella massima segretezza – si ritengono ormai esaurite, mente il palladio fisico che costituisce il patrimonio di Etf si è ridotto a 700mila once, il minimo da dieci anni: la fame di metallo tra i produttori di marmitte catalitiche è tale che per gli investitori è più redditizio cederlo a questi ultimi piuttosto che continuare a detenere Etf (che peraltro hanno già regalato formidabili plusvalenze).
I consumi sono fortissimi, nonostante le immatricolazioni di auto, in Cina come negli Usa e in Europa, siano in calo. Le specifiche sempre più severe per il controllo delle emissioni costringono infatti a usare quantità crescenti di palladio nei catalizzatori. L’onda lunga del Dieselgate nel Vecchio continente ha inoltre penalizzato i motori a gasolio (che nelle marmitte impiegano platino), a favore di quelli a benzina: una sostituzione con il platino è ovviamente allo studio, ma non è facile come si potrebbe pensare, né tanto meno rapida.
Ci vogliono tempi lunghi anche per sviluppare nuove miniere. E comunque, nonostante i prezzi record e il boom dei consumi, non c’è stata una corsa al palladio. Il metallo è estratto insieme al platino o al nickel e sono questi a guidare le decisioni di investimento. Inoltre l’80% delle forniture arriva da due Paesi soltanto: il Sudafrica – dove l’industria mineraria è in crisi da anni – e la Russia, dove opera il primo produttore mondiale, Norilsk Nickel. Quest’ultimo prevede che la domanda, già da record nel 2018, aumenterà di circa il 5% quest’anno (a 11,2 milioni di once) e che il deficit salirà da 600mila a 800mila once.