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 2019  marzo 05 Martedì calendario

L’Olanda è un paradiso fiscale

L’olandese Wopke Hoekstra è oggi il ministro delle Finanze più attivo d’Europa. All’età di 43 anni, con un passato da partner di McKinsey e prima ancora diplomato dell’Insead, la prestigiosa scuola di impresa di Fontainebleau, Hoekstra ha appena creato dei dispiaceri proprio alla Francia con le sue mosse sul gruppo Air France-Klm: in silenzio, il governo dell’Aia è salito nel capitale del gruppo proprio per contrastare i rivali di Parigi.
Giorni prima il dinamismo di Hoekstra si era espresso sull’Italia: dall’inizio dell’anno l’olandese è stato il solo nell’Eurogruppo a chiedere «più informazioni» sul bilancio di Roma, definendo «poco convincente» l’accordo con la Commissione Ue. Questo tipo di pressione per il rigore di bilancio non è nuova. È la posizione dell’Olanda da oltre vent’anni e in questi giorni trova conferme fra gli sherpa finanziari europei. Hoekstra e il suo governo guidano la cosiddetta Lega anseatica, un gruppo di otto Paesi nordici irritati per i rischi che l’Italia prende sul deficit e il debito pubblico.
Rassicurante, in un certo senso. Lo è senz’altro che qualcuno si preoccupi delle finanze dell’Italia, dopo che chi la governa ha dato a lungo l’impressione di non farlo. Lo è anche se magari le ricette proposte dall’Olanda non sembrano le più indicate: l’idea è di guidare i Paesi in difficoltà a una «ristrutturazione automatica» del debito, ossia al default; poco importa che già solo offrire una simile prospettiva rischi di destabilizzare i mercati, generando la stessa crisi che a parole si vorrebbe evitare. Hoekstra insiste: «È imperativo che i bilanci pubblici siano in pareggio».
Le multinazionali
L’Aia concede ad hoc prelievi risibili ad alcuni dei gruppi più grandi
al mondo
Resta però da misurare esattamente il contributo dell’Olanda al risanamento in Europa. Al livello individuale, esso è indiscutibile: il Paese ha un attivo di bilancio e il debito è sceso sotto delle soglie di Maastricht. È però quando si guarda il contributo dei Paesi Bassi al sistema dell’euro che il quadro si fa (quantomeno) ambiguo, perché le politiche dell’Aia non hanno fatto altro che sottrarre surrettiziamente negli anni centinaia di miliardi di base fiscale agli altri Paesi. Agli stessi, per la precisione, ai quali nel frattempo Hoekstra chiede minacciosamente di risanare. Se l’Olanda fosse un’isola dei Caraibi, la si chiamerebbe un «paradiso fiscale». Nel suo rapporto di pochi giorni fa la Commissione Ue scrive con più timidezza: «Le regole fiscali olandesi sembrano essere usate da multinazionali impegnate in strutture di pianificazione tributaria aggressiva».
È più che un’apparenza in realtà. Brad Setser, ex alto funzionario del Tesoro Usa, ha raccolto i dati prodotti dallo spostamento sull’Olanda – contabile – dei profitti in gran parte da proprietà intellettuale delle multinazionali americane. Tutte cercano i prelievi risibili che l’Aia concede ad hoc ad alcuni dei gruppi più grandi al mondo. Risulta così che l’investimento diretto di aziende Usa nei Paesi Bassi sarebbe in teoria di 51 volte superiore a quello in Germania, di 77 volte superiore a quelli in Francia e 155 superiore all’Italia (tutte economie varie volte più grandi dell’Olanda). Sono solo effetti ottici prodotti da sedi olandesi di aziende multinazionali simili soprattutto a cassette delle lettere. Da cosa si capisce? Come mostra Setser, quei gruppi avrebbero in teoria oltre 200 mila euro di utile (non ricavi, ma margini profitto) per ogni dipendente: decine di volte più che in Germania o Italia. In questo l’Olanda è davvero uno dei maggiori paradisi fiscali globali, più di Singapore, delle Bermude o dei Caraibi britannici. E in gran parte a danno del resto d’Europa, come mostra Gabriel Zucman dell’Università di California a Berkeley: ogni anno sottrae artificialmente oltre 50 miliardi di base fiscale altrui. Ciò contribuisce a generare l’effetto contabile di un surplus esterno monstre, molto oltre le regole Ue, che però la Commissione Ue non ha mai osato definire «eccessivo». Basterebbe che Hoekstra scegliesse: se chiede responsabilità fiscale agli altri, deve rinunciare alla propria irresponsabilità. Entrambe le cose insieme, no.