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 2019  marzo 05 Martedì calendario

Quanto vale la Esselunga, battaglia tra gli eredi

Quanto vale la Esselunga, il maggior gruppo di supermercati italiano? È una domanda che in queste settimane – a poco più di due anni dalla scomparsa del fondatore Bernardo Caprotti – è di grande attualità. I due rami della famiglia che si dividono le azioni del gruppo, infatti, si sono affidati a una serie di consulenti – studi legali e banche d’affari – per decidere il valore di Esselunga e su quelle basi trattare un possibile accordo che porterebbe tutto il possesso nelle mani della seconda moglie di Caprotti, Giuliana, e della loro figlia Marina. Marina e Giuliana possiedono già il 70% dell’azienda, ricevuto in eredità, e un mese e mezzo fa hanno deciso di puntare al 100% del capitale. Per arrivarci dovrebbero acquistare da Giuseppe e Violetta Caprotti, figli di primo letto del fondatore, il 30% che questi controllano. Ed è qui che entrano in ballo blasonati studi legali e banchieri d’affari. Violetta, in particolare, ha scelto come avvocato Gianpiero Succi dello studio BonelliErede e come advisor la Mediobanca di Alberto Nagel, un banchiere che conosceva bene suo padre: Nagel, Caprotti e il capo degli acquisti della gastronomia di Esselunga Dario Buzzi, la domenica andavano a caccia insieme. E spesso, ma con scarso successo, l’ad di Mediobanca propose all’imprenditore di fondere i supermercati italiani in un gruppo più grande e internazionale. Proprio la fusione era l’ultimo desiderio di Caprotti. Il fondatore, scomparso il 30 settembre 2016, aveva infatti dato disposizioni precise per il gruppo da 8 miliardi di ricavi e 24mila dipendenti, dalla cui gestione aveva negli anni esautorato proprio i figli Giuseppe e Violetta. «Dopo tante incomprensioni e tante, troppe amarezze ho preso una decisione di fondo», scriveva Bernardo nelle sue ultime volontà. E la decisione era quella, in ottemperanza alla legge di successione, che secondo l’imprenditore «svantaggiava Giuseppe e Violetta», era di lasciare un saldo controllo di Esselunga in mano alla moglie Giuliana e alla figlia Marina, in modo che Esselunga potesse essere venduta a un colosso estero come Ahold. «Famiglia non ci sarà – scriveva Bernardo – Ma almeno non ci saranno le lotte, o saranno inutili e le aziende non saranno dilaniate». Invece le lotte ci sono state e rischiano di essercene ancora. La legge ereditaria assicurava a ciascuno dei tre figli dell’imprenditore una quota di “legittima” pari al 17,5% del suo patrimonio. Ma Giuseppe e Violetta avevano avuto una quota inferiore dei supermercati (il 15% ciascuno) e una maggiore (il 22,5%) nella Villata, la società che deteneva gli immobili del gruppo. Il controllo della Villata fu ceduto a Esselunga due anni fa a un prezzo che la valutava tutta 1,42 miliardi, mentre prima della morte di Bernardo i private equity stimavano che l’attività dei soli supermercati valesse circa 4 miliardi. Dunque, se il valore dei supermercati era tre volte quello del ramo immobiliare, i figli di primo letto avevano avuto meno del 17,5% del patrimonio del padre. E se fossero entrati ciascuno in possesso della “legittima” su Esselunga avrebbero controllato assieme il 35% dell’azienda, con la possibilità di bloccare decisioni fondamentali; la quota in più, il 5%, rispetto alla “legittima”, in Villata, non bastava a pareggiare i conti. Così, dopo che i legali degli eredi, avevano riscontrato una «lesione della legittima» per Giuseppe e Violetta, per sanare ogni pretesa futura era stato stilato un accordo tombale, firmato nel giugno 2017 che prevedeva la quotazione in Borsa di Esselunga entro quattro anni. Allora gli eredi avevano concordato che il modo migliore per liquidare i soci di minoranza e allineare gli interessi di tutti era proprio l’Ipo: il prezzo l’avrebbe fatto il mercato, l’arbitro migliore per definizione, salvo concedere a Marina una prelazione per consentirle di trattare con un’eventuale acquirente, che garantiva comunque ai fratelli il diritto di adeguare i valori offerti a quelli pagati dal compratore finale. A gennaio Marina, che da due anni insieme al marito Francesco Moncada lavora a tempo pieno in azienda, ha deciso di fermare la quotazione e liquidare i fratelli esercitando un diritto di prelazione di cui dispone pur senza – a suo dire – avere un compratore finale per il gruppo. Giuseppe e Violetta, però, intendono vendere solo a un prezzo giusto. Ed è qui che le divergenze appaiono enormi e andranno risolte attraverso un arbitrato. Gli advisor di Violetta, ma anche quelli di Giuseppe, sono convinti che l’intera Esselunga valga almeno 6 miliardi. E salvo che un’offerta di vendita delle azioni in Borsa li smentisca, i fratelli non paiono disposti a cedere la loro quota in base a valori inferiori, e potrebbero andare da un giudice per dimostrare l’inadempienza del contratto e chiedergli il sequestro delle azioni, impedendo così alla sorella Marina di disporne. L’altro fronte non parla di prezzo, ma conta sul fatto che la quota che vorrebbe rilevare è di minoranza; inoltre considera recenti report che assegnerebbero al gruppo un valore attorno ai 4 miliardi. Toccherà ai consulenti parlarsi e cercare una mediazione che metta fine alla tormentata vicenda dell’eredità Caprotti. Se l’accordo non ci sarà Esselunga dovrà prendere la strada della Borsa. E se non imboccherà questa via, allora il caso finirà in tribunale.