la Repubblica, 5 marzo 2019
Algeria, chi c’è dietro Bouteflika
È capitato che sulla poltrona presidenziale vuota, nelle cerimonie ufficiali, venisse posato un ritratto incorniciato di Abdelaziz Bouteflika. Un capo dello Stato assente, quasi un fantasma, che da sei anni, dalla sera del 26 aprile 2013 quando fu colpito da un attacco cerebrale, non è più in grado di rivolgersi direttamente al Paese e si muove su una sedia a rotelle. Non può parlare a lungo, né sviluppare un ragionamento complicato, ma ha conservato sufficienti capacità intellettuali per dare un parere asciutto sulle questioni che gli vengono poste. Su di lui veglia la sorella Zhor, un tempo levatrice, donna di forte carattere. E i due fratelli minori, Said e Nacer, interpretano le sue volontà. Il primo, Said, si occupa degli affari politici; il secondo, Nacer, del funzionamento dello Stato. Ma dietro i fratelli Bouteflika si muove un ampio clan, il vero potere, in cui figurano autorità militari, responsabili dei servizi di sicurezza, generali in pensione passati al mondo economico e industriale. Il gas e il petrolio rappresentano il 95 per cento delle esportazioni algerine e sono risorse essenziali per chi governa. Su questo sfondo si svolge il dramma algerino, che vede a confronto larghi strati della popolazione, soprattutto giovani, e il potere nelle sue ramificazioni militari ed economiche. Quest’ ultimo basa i suoi equilibri sulla figura di Bouteflika, personaggio (di 82 anni) non più nelle condizioni di assolvere i compiti presidenziali, ma con una forte legittimità storica. Appartiene infatti alla generazione dei grandi leader indipendentisti associata alla guerra di liberazione (1954-1962). La giovane popolazione algerina non è sensibile a questi richiami, non è attirata dai simboli, e con sorprendente spontaneità, stimolata dai social network, ha riempito piazze e strade del paese chiedendo che Bouteflika se ne vada. «Boutef vattene!». Non si può votare per una poltrona vuota. Molto rapidamente si è passati a esigere un cambio di regime. Finora ci sono stati pochi episodi di violenza e i manifestanti hanno esibito la loro disciplina pulendo persino gli itinerari appena percorsi. Il ricordo del “decennio nero”, degli anni Novanta, quando la guerra civile fece più di centocinquantamila morti, contribuisce al comportamento finora esemplare. Con alle spalle quel massacro, l’Algeria non ha partecipato neppure alle “primavere” arabe. Era in preda alla paura di nuove tempeste di sangue. Domenica sera il potere ha sfidato l’insurrezione pacifica, poiché invece di ritirarsi Abdelaziz Bouteflika ha presentato la sua candidatura a un quinto mandato presidenziale. Per dissuaderlo la Corte costituzionale aveva diffuso una nota in cui si precisava che la pratica doveva essere compiuta personalmente dall’interessato. Era un modo per escluderlo dalla gara: sia perché egli dovrebbe trovarsi ancora, dal 24 febbraio, in un ospedale di Ginevra per «controlli sanitari»; sia perché, nel caso fosse rientrato nell’impenetrabile residenza di Zeralda, a trenta chilometri da Algeri, non si sarebbe certamente mostrato al paese su una carrozzina e con l’espressione smarrita di un invalido. È dunque un collaboratore, incaricato della campagna elettorale, che, infischiandosene della nota della Corte costituzionale, ha presentato i documenti per la candidatura. Il personaggio, un ex ministro, era preceduto da un corteo di automezzi carichi di cinque milioni di dichiarazioni sottoscritte da cittadini favorevoli a un altro mandato del presidente in carica. C’ è stato tuttavia un cedimento da parte del potere. Bouteflika si è impegnato, nel caso venisse rieletto il 18 aprile, a indire durante il quinquennio nuove elezioni, alle quali non si presenterebbe. In sostanza ha chiesto un tempo supplementare prima di ritirarsi definitivamente. Ha anche riconosciuto ed elogiato il comportamento esemplare dei manifestanti e la validità delle loro richieste. Ha promesso di assecondarle promuovendo un cambio del sistema politico. Le prime reazioni sono state: troppo poco e troppo tardi. Quello algerino è l’unico regime arabo in cui chi detiene il potere reale resta se non nell’ombra in seconda linea. Al titolare della presidenza è lasciata l’apparenza. Questo sistema si è accentuato quando l’esercito, nel gennaio 1992, si è opposto e ha annullato le elezioni in corso che stavano dando la vittoria agli islamici. Un gruppo di generali promosse allora un colpo di Stato, rifugiandosi in uno stretto anonimato e sostenendo che, secondo loro, la legittimità delle Forze armate è superiore a quella delle urne. Nel linguaggio popolare si parlò, e si è continuato a parlare, di “quelli che decidono”, indicando coloro che esercitano il potere restando tra le quinte. Dopo le elezioni annullate nel 1992, e la vittoria negata agli islamisti, è seguito il “decennio nero”, ossia la guerra civile. Arrivando al potere alla sua fine, nel 1999, Bouteflika ha rappresentato l’ordine ritrovato e la sicurezza nel paese esausto e sanguinante. Ha realizzato una riconciliazione nazionale imponendo un’amnistia basata sull’amnesia, vale a dire su una rinuncia della giustizia a punire i delitti, le stragi compiute da tutte le forze in campo. Dagli islamisti e dai militari. Il generoso reddito del petrolio ha favorito, concluso il ciclo della violenza, un periodo di forte ripresa economica e di modernizzazione del paese. Così Bouteflika ha conquistato la pace sociale. Negli anni della sua presidenza sono stati costruiti due milioni di case popolari, che hanno consentito l’accoglienza delle popolazioni fuggite dalle campagne in preda alla guerra civile e la lenta demolizione delle bidonville. È stato promosso anche un sistema di assistenza sociale fino allora sconosciuto, ma subito minacciato dal ribasso del prezzo del petrolio a partire dal 2014. La decadenza fisica di Abdelaziz Bouteflika, tenace nel rifiutare una successione, ha reso fragile il regime. Finora ha potuto contare su un generale da lui nominato capo di Stato maggiore. Ahmed Gaid Salah, che ha frequentato le accademie militari sovietiche ed è uno degli ultimi combattenti della guerra civile ancora in servizio, ha tenuto in pugno le Forze armate. Bouteflika ha potuto contare anche sui generali incaricati dei servizi di sicurezza. Ma la protesta popolare, che chiede il ritiro del presidente fantasma, ha ferito il sistema. Sulle piazze di Algeri e di Orano sono stati notati i sorrisi rivolti dai soldati ai manifestanti.