Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  marzo 04 Lunedì calendario

ALT! UNO STUDIO PUBBLICATO SULLA RIVISTA SCIENTIFICA ''LANCET'' SEMBRA MUTARE IL PARADIGMA SUI TEMPI DEL CONTAGIO: LE PERSONE CON IL CORONAVIRUS POSSONO CONTINUARE A TRASMETTERLO PER UN PERIODO COMPRESO TRA 8 E 37 GIORNI – I PIÙ CONTAGIOSI? I PAZIENTI SINTOMATICI E CHI NECESSITA RICOVERO OSPEDALIERO – NON E' UNA PASSEGGIATA, E' UNA VIA CRICIS LA GUARIGIONE PERCHE' È LEGATA A DUE CRITERI, CLINICO E VIROLOGICO: SOLO DOPO AVER SUPERATO LA FASE CRITICA (TOSSE, RESPIRO, POLMONITE), SI PASSA ALLA CONVALESCENZA 

Le persone ricoverate con Covid-19 possono continuare a trasmettere il virus per un periodo compreso tra 8 e 37 giorni e in media circa 20 giorni. A indicarlo è uno studio pubblicato su Lancet che di fatto ribadisce che sono proprio i pazienti sintomatici, coloro che hanno necessità di un ricovero ospedaliero, ad essere i più contagiosi.

«L’ampio spargimento virale osservato nel nostro studio ha importanti implicazioni per guidare le decisioni in merito alle precauzioni» osserva uno dei coautori Bin Cao, del Friendship Hospital e Capital Medical University di Pechino e indica «la necessità di test negativi per Covid-19 prima che i pazienti vengano dimessi dall’ospedale».

Inoltre, proprio per la loro alta contagiosità (e questo spiega anche l’alto numero di medici e infermieri positivi dopo aver curato i pazienti) gli operatori sanitari non devono mai abbassare la guardia e proteggersi sempre in modo adeguato per evitare il contagio.

Cosa vuol dire guarire Guarire dal coronavirus, per chi ha sintomi importanti, non è una passeggiata. La guarigione è legata a due criteri, clinico e virologico. La guarigione clinica consiste nella scomparsa dei sintomi, in questo caso tosse, raffreddore, febbre, malessere generale, difficoltà del respiro e, nelle situazioni più gravi, polmonite. È a questo punto che scatta la convalescenza.

Poi c’è la guarigione virologica: un paziente risultato positivo al virus e sottoposto all’esame periodico del tampone faringeo a un certo punto diventa negativo. Tra le due guarigioni ci può essere una minima sfasatura. Anche chi non ha più il virus può dover restare in ospedale in attesa di recuperare completamente.

Viceversa, i sintomi possono sfumarsi o sparire ma il virus risulta ancora presente nell’organismo per questo è importante eseguire più di un tampone prima delle dimissioni. Solo con la certezza della negatività non si è più infettivi.

Quanto durano i sintomi nei casi più gravi Lo studio identifica anche i principali fattori di rischio di morte tra questi pazienti: oltre a malattie pregresse, sono indicati segni di sepsi e problemi di coagulazione del sangue. La ricerca ha esaminato 191 pazienti ricoverati a Wuhan presso lo Jinyintan Hospital and Wuhan Pulmonary Hospital: 137 sono stati dimessi e 54 sono morti in ospedale.

I ricercatori hanno confrontato le cartelle cliniche, i dati di trattamento e i risultati di laboratorio tra sopravvissuti e non, descrivendo, per la prima volta, il quadro completo della progressione del Covid-19.

La durata mediana della febbre era di circa 12 giorni ma la tosse durava più a lungo; nei sopravvissuti,il sintomo di dispnea ( la mancanza di respiro) cessa dopo circa 13 giorni, ma dura fino alla morte nei non sopravvissuti.

Il tempo di dimissione e di decesso In media, i pazienti avevano un’età media di 56 anni, il 62% erano uomini e il 48% presentava patologie croniche sottostanti, la più comune era la pressione alta e il diabete. Dall’esordio della malattia, il tempo mediano alla dimissione è stato di 22 giorni e il tempo medio alla morte è stato di 18,5 giorni.

Rispetto ai sopravvissuti, i pazienti deceduti avevano maggiori probabilità di avere livelli ematici elevati della proteina d-dimero, responsabile della formazione di coaguli (trombi) nei vasi sanguigni e livelli elevati di Interleuchina 6 (un biomarcatore di infiammazione e malattie croniche).