L’Economia, 4 marzo 2019
Antitrust, chi difendi?
Era il marzo del 2004. Mario Monti, commissario Antitrust dell’Unione europea, annuncia una maxi (per allora) multa a Microsoft: 497 milioni di euro. Fu il segnale che anche sulle politiche industriali, e quindi economiche, l’Europa iniziava a battere colpi pesanti. Ed è stato ancora Mario Monti, con un editoriale sul Corriere della Sera, il mese scorso, a sottolineare come la decisione di bloccare la fusione tra la francese Alstom e la tedesca Siemens rappresenti un altro passaggio importante. Non conta quanto è forte un Paese (nel caso specifico Germania e Francia), bensì quanto lo siano le prerogative dell’Europa di esercitare i propri poteri come stabilito dai Trattati.
Ed è innegabile che siamo a un passaggio decisivo. Su un doppio fronte: il primo, quello della privacy e della proprietà dei dati, sulla quale con il regolamento varato dalla Ue si è stabilito un primato europeo – tanto netto quanto sottovalutato – nel campo della protezione delle informazioni. Il secondo è la difesa dei consumatori nei confronti della grande dimensione delle aziende, necessaria per poter competere con i colossi extraeuropei (americani e cinesi in particolare).
I due nodiNel primo campo, della proprietà e protezione dei dati, l’Europa è attesa al passo successivo. Vale a dire quello di dare ai consumatori la garanzia di essere pienamente ed effettivamente difesi, ma anche, a chi produce contenuti, la giusta remunerazione quando colossi come Google e Facebook usano i loro link per realizzare ricavi. Sul secondo versante, del via libera o meno ad aggregazioni, il dibattito è ancora molto aperto. Anche a chi non conosce i particolari del singolo caso, le notizie sul faro acceso dalla Commissione Ue rispetto alle operazioni Fincantieri-Chantiers de France Stx e lo stop ad Alstom-Siemens suggeriscono più di una riflessione.
È evidente che la concentrazione è quasi sempre un rischio per i consumatori. Ma è difficile negare che la competizione sia sempre più di raggio e di portata globale. La creazione di una posizione dominante pericolosa per la concorrenza europea (una «superdominance», direbbe Richard Whish) deve considerare anche gli effetti sul mercato continentale del concretizzarsi della concorrenza potenziale di grandi campioni internazionali extraeuropei.
Anche se non va dimenticata l’esistenza di eventuali barriere all’ingresso in Europa. Barriere amministrative, in particolare, legate ad esempio a una regolazione restrittiva per ragioni strategiche, militari e non. E, naturalmente, eventuali barriere economiche. Anche se, qui, la valutazione del loro effettivo rilievo consiglia di essere cauti visto che si sta parlando di supergiganti globali, con colossali «deep pockets». Profonde tasche che sicuramente hanno impatti peraltro positivi-negativi (evocando Schumpeter) sullo sviluppo dell’innovazione, favorito proprio dai mezzi finanziari a disposizione delle imprese maggiori. E poiché la competizione sui mercati mondiali si gioca molto sull’innovazione, la riflessione deve farsi ancora più attenta.
Si tratta di una prospettiva che da tempo vede la Commissione europea scontrarsi con il dilemma se applicare la normativa sulla concorrenza europea in modo «letterale» ( ma littera occidit, ammonisce San Paolo) oppure lasciar spazio a interpretazioni che favoriscano anche il perseguimento di obiettivi di politica industriale: fra i quali, preminente, quello di sostenere le imprese europee.
E la storia segnala come la Commissione sia quasi sempre riuscita a trovare la giusta combinazione fra obiettivi di politica della concorrenza e di politica industriale: combinazione che spesso ha consentito, appunto, la creazione di grandi imprese europee.
Uno studio della London School of Economics, analizzando le decisioni adottate dalla Commissione sulle concentrazioni tra il 1990 e il 2009, ricorda che ha autorizzato quasi tutte le operazioni, in una pluralità di settori: quello bancario, delle telecomunicazioni, dell’energia. E tali operazioni hanno appunto favorito, in diverse occasioni, la creazione di imprese europee di grandi dimensioni.
I colossi autorizzatiLo stesso ex direttore generale per la concorrenza, Philip Lowe, affermò che la Commissione europea ha sempre favorito la creazione di campioni europei salvaguardando allo stesso tempo la concorrenza e l’efficienza sui mercati. E così, ad esempio, sono state autorizzate operazioni dalle quali sono scaturiti il gigante nucleare Areva nel 2000, nonché colossi farmaceutici quali Glaxo-Smithkline e Sanofi-Aventis, rispettivamente nel 2000 e nel 2004. In particolare, poi, lo stesso Lowe ha osservato che per raggiungere il livello di scala necessario per competere a livello mondiale, spesso non basta fondersi con i concorrenti più «vicini» – quelli nazionali – ma c’è bisogno di concentrazioni transfrontaliere. Queste sì più rare. Basti vedere le tensioni create attorno al gruppo Renault-Nissan che si avviava a essere il maggiore in campo automobilistico ma che oggi vede un improvviso stop.
È un fatto che il susseguirsi di queste operazioni ha dato vita anche a specifici progetti di riforma normativa. Diciannove Stati membri hanno proposto l’aggiornamento delle norme antitrust dell’Ue allo scopo di facilitare l’emergere di giganti industriali europei capaci di affrontare «una concorrenza spietata»da parte degli Stati Uniti e della Cina. La proposta sarà inviata alla Commissione Ue dopo le elezioni europee.
Progetti senz’altro lodevoli. Da soppesare attentamente. Il rischio per l’Ue è doppio: penalizzare potenzialmente i consumatori o le chance di competizione di imprese europee? Sulla base di una interpretazione ragionevolmente evolutiva – e comunque di una ragionevole riforma – del vigente diritto antitrust, si dovrebbe arrivare a operare secondo quella valutazione potenziale «allargata». In difetto, correremmo il rischio di un risultato paradossale: che l’Antitrust europeo, per evitare la creazione di monopolisti continentali, faciliti obbiettivamente le chance di dominio dei grandi gruppi extraeuropei sia nel mercato globale sia nello stesso mercato europeo.
Ben sapendo però che i diritti dei consumatori sono la ragione ultima delle regole sulla concorrenza.