L’Economia, 4 marzo 2019
La patrimoniale che c’è già
Non faremo nessuna patrimoniale». Per essere preciso – ma la precisione non è quasi mai una virtù utile alla politica – il primo ministro Giuseppe Conte avrebbe dovuto dire: «non faremo nessuna patrimoniale aggiuntiva», visto che oggi le tasse sui possedimenti dei cittadini italiani (per esempio case, auto, tivu, investimenti finanziari) valgono quasi 46 miliardi. Vale a dire una volta e mezza la manovra fatta dal governo giallo verde e cinque volte quel che pagavamo di simili tasse nel 1990.
I calcoli li ha fatti l’ufficio studi della Cgia di Mestre,a fine 2018, contando ben 14 patrimoniali tra il 1990 e il 2017. Non tutte sono ancora in vigore e la buona notizia è che dal 2014 il gettito da tassa su patrimoni vari è sceso di tre-quattro miliardi: da 48,6 a agli attuali 45,7. Il respiro di sollievo viene dall’abolizione della Tasi sulla prima casa e dell’Imu su terreni agricoli e capannoni, approvata dal governo Renzi.
La lista Ma quali tasse paghiamo oggi perché siamo padroni di qualche cosa? Tagliando la torta delle patrimoniali si scopre che la fetta più grossa, quasi la metà, spetta alle imposte comunali sugli immobili. Imu e Tasi da sole portano all’Erario 21,8 miliardi. Seconde a pari merito, ma a molta distanza, arrivano il bollo auto (6,7 miliardi) e l’imposta di bollo sulle attività finanziarie (6,2). Terzo posto per il registro (5,3) e poi c’è il canone Rai, che vale quasi 2 miliardi, ovvero più dell’imposta ipotecaria (1,7) e della tassa su successioni e donazioni (815 milioni).
Negli ultimi tempi, quindi, la proprietà è uscita (un poco) dal radar del Fisco. Se facciamo i conti solo sulle patrimoniali, nel 2014 l’incidenza sul Pil era al 3%, il record storico degli ultimi trent’anni. Oggi è scesa al 2,7%. Nel 1990, l’anno di partenza dell’analisi fatta dalla Cgia, era invece all’1,3%, con un gettito inferiore ai 10 miliardi di euro. Raddoppiati due anni dopo, ai tempi della super manovra del governo Amato e del prelievo forzoso sui conti correnti.
Dal 1993 (2,7% sul Pil) il peso delle patrimoniali scende lentamente, fino a toccare il 2% nel 2001. E intorno a questa percentuale restano fino al 2011. La crisi del debito sovrano e le misure del governo Monti per fronteggiare la situazione le rispediranno al 2,8-3% negli anni successivi. Fino all’alleggerimento del 2014. Ma è doveroso dire, come fa in un altro articolo qui a fianco l’ex numero uno dell’agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini, che in molte occasioni cancellare le patrimoniali non porta ad una reale diminuzione della pressione fiscale complessiva. Quei soldi, insomma, Stato e comuni se li riprendono, prima o poi, in un altro modo.
Corsi e ricorsi Insomma le patrimoniali sono come l’onda: ci sono sempre. Lambiscono con continuità i beni di famiglia e il Pil, la ricchezza dell’azienda Italia, e poi diventano cavalloni quando le cose si mettono particolarmente male per i conti pubblici. Evocare la patrimoniale suona come una specie di formula magica che fa drizzare i capelli ai cittadini-elettori più o meno abbienti e le antenne di chi deve prendere (o tenere) i loro voti.
Non va usata a sproposito, anche se spesso funge da amuleto. Quando non sanno quali pesci pigliare nei mari d’Italia (come adesso, per esempio) gli osservatori internazionali, non mancano mai di ricordare che il patrimonio immobiliare dei privati più quello finanziario valgono quasi dieci mila miliardi, mentre il debito (quello monstre pubblico e quello delle famiglie, molto contenuto) viaggia attorno ai tremila. Come dire: prima che zompi tutto, c’è di che tassare.