L’Economia, 4 marzo 2019
Lo stato dell’acqua
Non è inodore, né insapore, né incolore. La proposta di legge sulla disciplina delle gestioni idriche, prima firmataria Federica Daga dei Cinque Stelle, approderà nell’aula di Montecitorio il 25 marzo. La discussione è destinata a sprigionare reazioni di tutti i colori. Ma se la legge dovesse passare, ricalcando le linee originarie dei suoi proponenti, c’è anche il rischio che si trasformi in un inatteso macigno sui conti pubblici. Ed è curioso che se ne parli così poco. Se volevamo una dimostrazione della vicinanza ideologica della maggioranza legastellata al Venezuela di Maduro questa vicenda è perfetta. Sembra fatta apposta. Caracas ha nazionalizzato il servizio idrico con un provvedimento apparso sulla Gaceta Oficial de la República bolivariana de Venezuela del 26 giugno del 2018. Con il quale Maduro ha istituito il Ministerio del poder popular de atención de las aguas.
La situazione Non che la situazione attuale sia soddisfacente. Tutt’altro. In molte zone è semplicemente drammatica. Alcuni acquedotti, non solo al Sud, sono un colabrodo. Si perde nel trasporto anche più della metà della portata. «Nel nostro Paese – si legge nella relazione di accompagnamento alla proposta di legge, già presentata nella scorsa legislatura – vi sono intere zone dove le falde acquifere e i terreni sono inquinati e quindi pericolosi per la salute... Insomma, appare evidente che il sistema ha fallito e le politiche di privatizzazione hanno prodotto il disastro». La Commissione Ambiente della Camera sta esaminando gli emendamenti alla proposta Daga ed è in attesa delle relazioni tecniche dei ministeri interessati. Se il servizio idrico dovesse tornare alla gestione diretta dei Comuni verrebbe sostanzialmente ripristinata la situazione precedente alla legge Galli. La normativa del 1994 creava il «servizio idrico integrato» in «ambiti territoriali ottimali» superando i confini amministrativi dei Comuni. Il codice dell’Ambiente del 2006 prevedeva poi che la risorsa idrica venisse gestita secondo «efficienza, efficacia ed economicità». Il risultato del referendum del 2011 è stato poi recepito dal decreto Sblocca Italia del 2014. La forma dell’affidamento tramite gara ai privati non prevaleva sulle altre due soluzioni di gestione – come peraltro previsto dalle norme europee – ovvero la società mista o quella in house a capitale pubblico.
L’acqua è già pubblica. Il 97 per cento della popolazione è servito da società a maggioranza o interamente pubbliche. Ma il ritorno alla gestione diretta comporterebbe la revoca delle concessioni con un costo stimato da Utilitalia, l’Associazione che riunisce i gestori, in 15 miliardi. Una tantum. Senza considerare l’effetto negativo della rottura di un impegno contrattuale su investitori privati e internazionali, azionisti anche di grandi utility quotate in Borsa, come Hera, Iren, Acea.
Si ripeterebbe lo scenario Tav con un effetto domino di perdita reputazionale del Paese su molte delle sue attività economiche. Perché investire in Italia se c’è un rischio di inaffidabilità contrattuale così elevato? Secondo la proposta di legge finirebbero sotto il controllo politico ministeriale 7 autorità di distretto e 400 tra consigli di bacino e sub bacino. E le tariffe? Non sono tra le più elevate al mondo. Lo studio Global Water Intelligence del 2017 registra un costo a Roma di 1,49 euro al metro cubo; a Francoforte di 4,23; a Copenaghen di 5,46. I gestori italiani applicano le tariffe decise dall’Autorità di regolazione (Arera) che con la riforma non sarebbe più indipendente. Le categorie deboli sono già protette attraverso un bonus idrico. Le nuove aziende pubbliche, senza finalità di lucro, sarebbero limitate all’ambito provinciale. Manutenzione e investimenti verrebbero coperti con anticipazioni da parte dello Stato. «Nel 2019 sono già programmati – spiega Giordano Colarullo, direttore generale di Utilitalia – 2,6 miliardi di investimenti sulla rete degli acquedotti, fognature e depurazioni ai quali vanno aggiunti circa 800 milioni di contributi pubblici a fondo perduto. Le tariffe, nel progetto Daga, coprirebbero solo i costi operativi. Il resto peserebbe tutto sulla fiscalità generale, attraverso le imposte pagate da tutti i cittadini. La sfida dell’acqua e della tutela dell’ambiente richiede una risposta industriale con le tecnologie migliori e non un ritorno alle aziende comunali».
Le ricercheUno studio in via di pubblicazione di Astrid, a cura di Mario Rosario Mazzola, evidenzia che «le aziende di grandi dimensioni, a prescindere dalle caratteristiche societarie, hanno avuto performance migliori, nella qualità dell’acqua, nella manutenzione del sistema fognario, nello smaltimento dei fanghi». In certe aree, però, «la necessità di un intervento centrale specifico era e rimane probabilmente ineluttabile e ineludibile». Difficile che gli investimenti possano essere garantiti solo dalla mano pubblica. Le società miste o con azionisti privati possono accedere al mercato dei capitali. Le nuove aziende speciali pubbliche dovrebbero essere sostenute dalla Cassa Depositi e Prestiti che non ha mancato di far pervenire al legislatore le proprie perplessità.
La replicaLa proposta di legge prevede la costituzione di un Fondo nazionale per la ripubblicizzazione. Ma finanziato come? Le ipotesi vanno da un intervento sul bilancio della Difesa, alla tassa sulle bottiglie di plastica, ai proventi dalla lotta all’evasione. «Noi ci rendiamo conto – spiega la relatrice della proposta di legge, Federica Daga – delle compatibilità di bilancio ma non potevamo non dare seguito a un’istanza popolare così largamente sentita. Abbiamo ricevuto una marea di segnalazioni, ascoltiamo tutti. Non vi è un approccio ideologico ma l’Italia ha subito troppe multe europee per la mancanza di depuratori e per lo stato delle sue fognature. Al Sud come al Nord. Siamo pronti a discutere su tutto. Non siamo contro i privati che possono accedere al miliardo stanziato nella legge di Bilancio 2019 per gli invasi e gli acquedotti. Forse dodici mesi per la revoca delle concessioni sono troppo pochi. L’ambito territoriale delle aziende speciali si può allargare alle città metropolitane, ai bacini idrografici che per la Puglia coprono l’intera regione. Ma l’acqua è un bene pubblico. E questa legge è coerente con il programma del governo del cambiamento».
Che dire? Auguri. Soprattutto al nuovo superministero de atención de las aguas.