Libero, 4 marzo 2019
La rinascita a 84 anni di Luciano Benetton
Dieci giorni fa, nella fatal Cagliari per i Cinquestelle, Luigi Di Maio era tornato a spararla grossa: «Presto arriverà qualche sorpresa su Autostrade, che toglieremo a Benetton». Ricordiamo tutti la tragedia del ponte Morandi a Genova: i morti, le accuse alla famiglia veneta prima azionista della società Autostrade, le minacce del governo nel giorno di Ferragosto. Il vicepremier urlava ai quattro venti: «Revoca immediata della concessione». E Conte a ribadire: «Non possiamo attendere i tempi della magistratura». Invece sta accadendo proprio il contrario: Danilo Toninelli, sempre battagliero, ha abbassato le ali. E ora i tempi di un’eventuale revoca della concessione si sono dilatati. Forse all’infinito. Il buon senso finalmente sta trionfando. È ovvio che se la magistratura certificherà colpe del gruppo Autostrade, dovrà pagare in qualche maniera. Ma fino ad allora, nel mondo civile e occidentale, non si può calpestare la legge. E nemmeno fare processi in piazza. I giacobini sono morti 240 anni fa. Chi invece è vivo e lotta come un leone è Luciano Benetton. Il prossimo 15 maggio spegnerà 84 candeline. E lui, dopo un 2018 da dimenticare, si è ritrovato capo dell’impero di famiglia. Prima il cognato, marito della sorella Giuliana, poi i fratelli Carlo e Gilberto, l’unico che aveva fatto la terza media perché sapeva far di conto. Tutti scomparsi, come in una sorta di maledizione. Il fondatore della dinastia, con pochissimi amici e fidati collaboratori, tanta umiltà e passione, è stato costretto a tornare in prima fila, accollandosi la gestione di un patrimonio da 12 miliardi e di una galassia che va dagli autogrill di mezzo mondo, alle autostrade fino agli aeroporti, passando per immense aziende agricole, patrimoni immobiliari quasi incalcolabili e, ovviamente, la Benetton: maglie, maglioni, pantaloni, scarpe, sciarpe, borse, tute...
ORFANI DOPO LA GUERRA
I fratelli Benetton, rimasti orfani poco dopo la guerra, dovettero arrangiarsi. Mollata la scuola, Luciano faceva il commesso in centro a Treviso, Giuliana faceva la sarta a casa. Un giorno la sorella regala al fratello maggiore un maglione giallo. Lui lo indossa e tutti glielo chiedono. Da lì l’intuizione: produciamo maglioni colorati. Primo negozio a Belluno, sotto l’insegna My Market. È un successo. L’azienda non riesce a star dietro alla domanda. Fino al 1978 Benetton non fa nemmeno pubblicità: il prodotto si vende da solo. Poi arriva Oliviero Toscani, 1982, l’azienda si quota a Wall Street, 1986... E negli anni ’90 inizia la grande diversificazione, guidata da Gilberto, l’anima finanziaria della famiglia: lo Stato privatizza ma nessun imprenditore vuol avere a che fare con la politica. I Benetton ci provano: Autogrill, Autostrade, aeroporti. Nasce l’impero. Che però per funzionare ha bisogno di un imperatore. Forte e deciso, nonostante le disgrazie e gli affetti. Sono passati pochi mesi dal funerale di Gilberto. Ma nonostante la tragedia, i risultati sono strabilianti. Iniziamo dalla storica azienda: la Benetton abbigliamento. Recentemente, alle sfilate della moda di Milano, è comparso per la prima volta il marchio conosciuto finora per capi “veloci”, quelli che hanno ispirato Zara ed H&M, più che per tendenze fashion. E la critica è stata super positiva: nuova freschezza e colori, colori, colori. Luciano si è presentato in passerella e ha convinto il pubblico. Il brand finito in secondo piano e in crisi finanziaria, può tornare a sperare. In un colloquio col Corriere della Sera, il patron del gruppo ha sintetizzato così il suo pensiero: «Non conta l’età…». Già, è sempre la testa che comanda. E che testa.
IN PASSERELLA
Infatti non è che Luciano, in questi mesi, abbia pensato solamente a pantaloni e t-shirt. Ha dato una spinta alla riorganizzazione delle varie controllate di famiglia, per diventare ancora più forti. Giovedì la società Cellnex, che ai più non dirà nulla, ha varato un aumento di capitale da 1,2 miliardi finalizzato a un’operazione di “m&a”, cioè merger & acquisition. Traduciamo: il gruppo, che controlla solo in Italia 8mila torri, è attivo nelle infrastrutture per permetterci di comunicare, navigare, telefonare... La società è di base in Spagna e il primo azionista è indirettamente la famiglia Benetton. Adesso aumenterà la dote finanziaria allo scopo di fare nuove acquisizioni in giro per l’Europa in modo da diventare ancora più potente.
PIÙ GRANDE
Nella penisola iberica la famiglia con base a Ponzano Veneto (provincia di Treviso) aveva già piantato la bandierina con l’operazione di fusione tra Atlantia (la cassaforte che incassa i pedaggi italiani) e Abertis, concessionario autostradale di Barcellona e diffuso già in Sudamerica. Un accordo nel quale è entrato pure Florentino Perez, patron del gruppo di costruzioni Acs e presidente del Real Madrid. In pratica i Benetton sono primi azionisti del principale gruppo autostradale europeo e dell’America Latina. Però nell’universo di Luciano non va dimenticato il business dei campi. In fin dei conti nel Veneto anni ’50, quando i fratelli trevigiani sono cresciuti, il settore agricolo era predominante, influenzando la mentalità pure di chi contadino non era. Dalla fine degli anni ’90, dopo la dismissione di alcune attività da Cirio, i Benetton si erano presi la Maccarese spa, una delle maggiori aziende italiane. Precedentemente, soprattutto lo scomparso Carlo, aveva iniziato un’attività imprenditoriale nel mondo bucolico in Argentina attraverso Compagnia de Tierras Sud Argentino, in Patagonia. Bene, adesso Luciano ha deciso di mettere insieme le due società, in modo da dar vita a un vero e proprio polo agricolo internazionale. Capace di sfidare la globalizzazione, forte dei quasi 15mila ettari di terreno messo a reddito.
CHI NON PROVA...
Dieci anni fa, circa, il sottoscritto aveva firmato un lungo articolo con questo titolo: «Dalla mattina alla sera paghiamo i Benetton». Già perché all’epoca, oltre a cappuccio e brioche dell’autogrill, pedaggi autostradali e maglioni, la famiglia controllava pure gran parte dei cinema. Un investimento, intrapreso assieme a Mediaset, che però non si è rivelato redditizio. Così come l’ingresso in Telecom, al fianco di Tronchetti Provera, finì in un bagno di sangue (un miliardo bruciato). Capita... Però se c’è «energia ed entusiasmo», come ha ribadito lo stesso Luciano durante la Milano fashion week, non si può temere nulla. Però, c’è un però... Il quasi 84enne patron dell’impero quando riprese in mano l’azienda di abbigliamento disse: «Sono tornato al comando, perché i manager non amavano» l’impresa, come la ama lui. Ecco il punto. Giustamente la famiglia di Ponzano ha dovuto circondarsi di centinaia di dirigenti per mandare avanti tutte le sue società. E, grazie ai Benetton, i manager hanno intascato valanghe di milioni e bonus: hanno garantito buoni fatturati e ricchi dividendi agli azionisti trevigiani. Tuttavia, in alcune circostanze – vedi la gestione immediata dell’emergenza legata al crollo del ponte Morandi – qualcuno non ha dato tutto, forse. Magari perché si sentiva al sicuro... ma Benetton è altro. È voglia di stupire. Benetton è quel gruppo che sfidò i giganti della moda americana negli anni ’80. È quello che trionfò in Formula Uno con un proprio team e Schumacher alla guida. È una fotografia provocatoria di Oliviero Toscani. È Luciano. L’impero di Ponzano ha ripreso a espandersi. Statene certi, col fondatore ancora al comando, non si fermerà più. Basta guardare in Generali: la cassaforte di famiglia, Edizione Holding, punta a salire al 5% del colosso delle assicurazioni. Si annunciano sorprese.