il Giornale, 4 marzo 2019
Il nero che ha fregato i neonazi Usa
È nero ed è a capo da qualche giorno di uno dei più attivi gruppi neonazisti negli Stati Uniti. Ma c’è una ragione. Il nuovo capo dell’organizzazione è una specie di ossimoro vivente e vuole trasformare i cattivi in buoni anche se non ha avvertito i cattivi.
Una storia bislacca quella di James Hart Stern, 54 anni, un nero originario di un sobborgo di Los Angeles di padre ebreo (ma lui è un predicatore battista) con dei dreadlock corti che gli danno un’aria da suonatore di bongo, se non fosse per il fatto che ama vestire in giacca e cravatta come un rappresentante di aspirapolveri. In qualche modo questo strampalato personaggio – da anni attivo nei diritti civili con iniziative spesso controverse – è riuscito a farsi consegnare da Jeff Schoep le chiavi del National Socialist Movement, un’organizzazione di suprematisti bianchi che si rifanno senza esitazioni all’ideologia e alla simbologia nazista e che lo stesso Schoep guidava da ventiquattro anni. La prima decisione che Stern ha preso non appena si è trovato a capo di questa accolita di esaltati, è stato domandare a un giudice della Virginia di incriminare l’NSM per istigazione alla violenza per i fatti di Charlottesville del 2017, quando nel corso di un raduno di estrema destra un militante neonazista, James Alex Fields Junior, investì e uccise una manifestante antirazzista, Heather Heyer.
Una mossa che ha frastornato i militanti dell’NSM, notoriamente poco avvezzi alle sfumature. Ma la confusione aumenterà nelle prossime settimane, visto che Stern vuole andare avanti nella redenzione e ha dichiarato di voler trasformare il sito dell’organizzazione, tristemente noto per essere un incubatore di odio e di disprezzo, in uno spazio per diffondere la conoscenza sull’Olocausto.
Ma com’è riuscito uno che dovrebbe riassumere tutto ciò che i suprematisti bianchi odiano a diventarne il capo? Stern avrebbe fatto uso di furbizia e doti manipolatorie sfruttando le frustrazioni e le incertezze di Schoep, con cui aveva un amicizia pericolosa da cinque anni. Del resto Stern nella sua carriera di attivista si è spesso sporcato le mani con relazioni strette con il nemico. Per oltre un anno, tra il 2010 e il 2011, Stern, che era stato condannato al carcere per una frode elettronica, condivise la cella con Edgar Ray Killen, un ormai anziano ex leader del Ku Klux Klan condannato a sessant’anni di galera per aver architettato nel 1964 l’assassinio di James Chaney, Andrew Goodman e Michael Schwerner, tre attivisti di sinistra. Frutto di questa bizzarra convivenza una serie di lettere scritte da Killen che costituiscono una sorta di memoriale dell’odio e dell’ambiguità.
Insomma, a Stern piace redimere l’orco. E ha fatto lo stesso con Schoep, un po’ in crisi perché si sentiva sottovalutato dagli attivisti del suo movimento neonazi che volevano aumentare il volume dell’odio, ed emarginato dal mainstream suprematista rianimatosi dopo l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. «Non mi piaceva e glielo dicevo – racconta Stern -. Volevo fargli cambiare idea ma lui non la cambiava. Poi negli ultimi tempi mi raccontava che era stanco, preoccupato per le cause legali, disposto a lasciare la testa dell’organizzazione. Ho visto uno spiraglio e mi sono buttato». Schoep nega questa versione dei fatti, non ci sta a passare per il manipolato della faccenda, precisa di non avere consegnato il movimento nelle mani di Stern. Ma i documenti parlano chiaro: l’NSM è di questo strano nero che prima ha preso in giro i neonazi e ora proverà a disinnescarli. Auguri.