La Stampa, 4 marzo 2019
La lirica e i musei scoprono i videogiochi
Anni fa, il Teatro Regio di Parma regalò a Björk, ospite d’eccezione per un concerto del tour di Vespertine, un gioco dell’Oca con le eroine verdiane. La cantante islandese passò tutta la notte a lanciar dadi, canticchiando ogni tanto qualche aria famosa.
Oggi il Regio passa dalla carta ai bit e lancia un gioco per smartphone e tablet, scaricabile gratuitamente da App Store e da Google Play Store. Si chiama A life in Music e racconta una storia di musica e sentimenti ambientata a Parma e a Villa Verdi a Sant’Agata: è la vicenda di Antonio e Silvia, due 18enni, molto diversi tra loro, ma accomunati dalla passione per la musica, che si conoscono, si frequentano per un’estate, si perdono di vista e si ritrovano dieci anni dopo. La storia potrebbe essere quella di un’opera, ma con risvolti moderni: lui ha un iPod (all’inizio siamo nel 2008, quindi il dettaglio è filologicamente corretto), lei guida una Vespa e non si nasconde nel buio di una carrozza. Ma ad accompagnare il loro primo incontro è Il balen del suo sorriso, famosa aria dal Trovatore: nel gioco sono inseriti intermezzi che rievocano episodi dell’esperienza artistica e umana di Giuseppe Verdi. Oltre a 9 arie verdiane registrate dal vivo al Teatro Regio di Parma, sono 19 le tracce musicali originali composte per A Life in Music. Il Comitato scientifico per il Festival Verdi ha lavorato a fianco degli sviluppatori a garanzia che parole e immagini fossero veritiere, e la grafica del gioco è stata realizzata con oltre 400 disegni dipinti a mano, digitalizzati e animati.
Le scelte del giocatore influenzano la vicenda, quindi non sappiamo ancora se Antonio e Silvia torneranno insieme, se lei lascerà il suo posto di manager di successo a Milano per viver d’arte con lui a Parma, ma un lieto fine non pare da escludere.
Con A life in Music, il Regio spera di avvicinare i più giovani alla lirica, e analoghi sforzi si segnalano un po’ da tutta Italia, dove si moltiplicano i videogame realizzati da musei e istituzioni culturali (ad esempio a Taranto, Firenze, Napoli).
Siamo naturalmente lontani anni luce dagli sparatutto, dalle Battle Royale, dai giochi rumorosi e violenti: c’è semmai qualche enigma da risolvere, una prova da superare, ma qui il videogioco è utilizzato come mezzo narrativo multimediale e interattivo. Con risultati a volte inaspettati: Father and Son, del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, ad esempio, conta oggi oltre 4 milioni di download in tutto il mondo. E c’è anche un premio, il Playable Museum Award, per i migliori videogame realizzati dai musei. Che sono sempre più centri di produzione di cultura, e non solo di fruizione passiva.