la Repubblica, 4 marzo 2019
Quattro milioni di italiani non si curano
Gli italiani che rinunciano alle cure rinviano la visita perché la lista di attesa è troppo lunga e in casa non ci sono i soldi per l’intramoenia, non vanno a comprarsi il farmaco perché non viene passato dal sistema sanitario anche se per loro è fondamentale, oppure non hanno trovato un modo di fare l’ecografia senza pagare un ticket diventato troppo pesante. C’è un mondo di persone, nel nostro Paese, per le quali la sanità è un peso economico. Talvolta insormontabile.
Quante sono? Non è facile dirlo, le fonti dei dati sono tante e mosse da interessi diversi. Ad esempio ci sono assicurazioni che mirano, con ricerche e studi, a dimostrare che sono tantissime (addirittura più di 12 milioni) per dire che il sistema pubblico da solo non regge e ci vuole una maggiore diffusione delle polizze sanitarie.
Una buona base di partenza allora resta l’Istat. L’anno scorso ha calcolato che 3 milioni e 657mila persone nel giro di 12 mesi hanno rinunciato a esami o cure mediche a causa di problemi economici. Questi pazienti abitano soprattutto al sud. Se si prendono in considerazione le cure odontoiatriche, notoriamente costose e quasi esclusivamente private, il numero è superiore: 4 milioni e 125mila.
In una audizione al Senato di fine 2018, il presidente Istat Maurizio Franzini ha diffuso dati in linea con i lavori più recenti dell’istituto: «Oltre 4 milioni di persone rinunciano alle visite e agli accertamenti per motivi economici». La rinuncia però, ha aggiunto, può essere anche dovuta alle liste di attesa, e in quel caso riguarda 2 milioni di persone. In Italia le esenzioni sanitarie sono molto diffuse. In tante Regioni disoccupati e persone in assoluta povertà non pagano il ticket, ovunque la misura riguarda anche chi ha più di 65 anni e guadagna meno di 36mila euro l’anno e chi ha determinate patologie. Poi ci sono molte false esenzioni. Finisce che circa la metà di coloro che si rivolgono al sistema sanitario, consumando il 70% delle prestazioni, non pagano il ticket. E qui entra in gioco il problema delle liste di attesa. Chi è esente perché povero, infatti, se si trova di fronte tempi biblici per ottenere una risonanza o una visita cardiologica magari non può permettersi di anticipare la prestazione in intramoenia (una visita costa anche 150 euro). Così non si fa controllare.
«Gli studi sulle rinunce alle cure vanno valutati con attenzione – dice Nino Cartabellotta della fondazione bolognese Gimbe, che fa studi sulla sostenibilità in campo sanitario – Spesso, anche nel caso dell’Istat, viene chiesto agli intervistati se nell’ultimo anno hanno rinunciato a una o più prestazioni sanitarie. Di fronte a una risposta affermativa però non siamo in grado di capire né l’appropriatezza né l’urgenza di quell’esame mancato e soprattutto quali sono le conseguenze negative dell’averlo ritardato o saltato. Poteva anche essere un accertamento inutile».
Tra quelli che vedono in faccia chi non si può permettere le cure c’è la fondazione Banco Farmaceutico: «In un anno abbiamo aiutato 539mila persone in difficoltà attraverso 1.844 enti che danno appunto medicinali gratuiti e cure di vario tipo – spiega il presidente Sergio Daniotti – È vero, i poveri hanno diritto alle esenzioni e all’accesso a gran parte delle cure. Tuttavia chi chiede aiuto agli spesso non può curarsi perché è fuori da qualunque sistema di protezione sociale. Ad esempio non ha il medico di base. E poi tanti si vergognano di manifestare la propria povertà, così preferiscono non curarsi». Riguardo ai farmaci, «ce ne sono alcuni da banco e quindi a pagamento e senza prescrizione, che spesso sono indispensabili per vivere bene o addirittura sopravvivere. Così noi li distribuiamo». La coperta sanitaria dello Stato non sempre riesce a coprire tutti.