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 2019  marzo 04 Lunedì calendario

Perché siamo fermi a 18 espulsi al giorno

A gennaio 2018 Matteo Salvini in campagna elettorale promette: «Non vedo l’ora di vincere le elezioni per riempire gli aerei e riportare gli immigrati a casa loro. Ce ne sono troppi». Le elezioni le ha vinte. Nei primi sei mesi da ministro dell’Interno (giugno-dicembre 2019) ha rimpatriato 3.851 irregolari. Nello stesso periodo di tempo, l’anno prima, l’allora ministro dell’Interno Marco Minniti aveva eseguito 3.968 rimpatri. Dal primo gennaio 2019 al 17 febbraio sono stati 867, 18 al giorno. Complessivamente nel 2018 – con il governo Gentiloni per la prima metà dell’anno e della Lega-M5S per la seconda – ci sono state 6.820 espulsioni, sempre 18 al giorno. Nel 2017 sotto Gentiloni 6.514, ovvero 17 al giorno. A conti fatti, discostarsi da questi numeri è difficile. Ecco perché.
I tre motivi per espellereIn base agli ultimi dati Eurostat disponibili, tra il 2015 e il 2017, su 530 mila irregolari presenti in Italia, sono stati emessi 95.910 fogli di via, mentre i rimpatri effettivi sono stati 16.899 (meno del 18%): significa che il numero di chi viene riaccompagnato nel proprio Paese – indipendentemente dal governo in carica – è infinitamente più basso rispetto alla platea di chi potenzialmente dovrebbe lasciare l’Italia. Il provvedimento di espulsione può essere emesso: 1) per motivi di sicurezza dello Stato su decreto del ministero degli Interni per fiancheggiatori o sostenitori del terrorismo; 2) su indicazione delle Questure per stranieri non in regola con i documenti e/o con un profilo di pericolosità sociale; 3) come pena alternativa alla detenzione per condanne inferiori ai 2 anni.
I rimpatri e verso quali PaesiPer rimpatriare un immigrato è indispensabile che il Paese d’origine lo riconosca come suo cittadino: se l’ambasciata del Paese in questione non emette il documento di viaggio per il rientro, non possiamo rimpatriare nessuno perché poi non è permesso lo sbarco. Dunque, servono accordi con gli Stati che devono riprendersi gli irregolari, e per riuscire a sottoscriverli bisogna dare in cambio qualcosa. In più è sempre necessaria la collaborazione politica tra i due Paesi, senza la quale non si va lontano.
Tra il 2015 e il 2017, la stragrande maggioranza di irregolari che hanno ricevuto il foglio di via arrivano da Marocco (25.440), Tunisia (12.965), Nigeria (5.500) ed Egitto (5.095). Sono Paesi con cui, tramite la Polizia di Stato, abbiamo firmato accordi che si basano su due pilastri: al fine di migliorare le competenze nei controlli di frontiera, l’Italia paga corsi di formazione alle forze di Polizia di quei Paesi, oltre ad assicurare forniture di mezzi ed equipaggiamenti.
Come funzionano gli accordiL’accordo di riammissione con il Marocco è stato firmato a Rabat nel 1998, ma non è entrato in vigore per mancata conclusione della procedura di ratifica da parte del Marocco. I consolati comunque collaborano, però in media riusciamo a rimpatriare solo un marocchino su dieci. Con la Nigeria abbiamo firmato a Roma nel 2000, ma il patto è applicato dal 2011. L’Ambasciata nigeriana procede regolarmente a effettuare un’intervista ai suoi cittadini prima di emettere il documento di viaggio per il rimpatrio: alla fine, tra il 2015 e il 2017, sono stati imbarcati 725 nigeriani (il 13%).
Va meglio nel caso di Egitto e Tunisia, dove torna forzatamente a casa uno su tre: 4.205 in Tunisia, 1.655 in Egitto. Il primo accordo con la Tunisia è stato firmato nel 1998, poi è stato potenziato nell’aprile 2011, con la firma di un verbale in cui, a fronte di un impegno italiano in termini di assistenza a favore della Tunisia, sono state stabilite procedure rapide per il rimpatrio dei tunisini sbarcati illegalmente. L’accordo di riammissione tra Italia ed Egitto è stato firmato a Roma nel 2007 ed è in vigore dal 2008.
Il nodo dell’Africa subsahariana Il problema è che la maggior parte degli irregolari proviene da Paesi con i quali non esistono ancora accordi e quindi le espulsioni sono possibili solo in casi molto circoscritti. Verso l’Algeria su 4.570 fogli di via, i rimpatri sono 245 (5%); in Senegal su 3.540 solo 265 (7%), in Sudan su 1.965 sono 50 (3%), in Gambia su 1.385 sono 50 (4%). In sostanza, mentre la percentuale di espulsioni verso i Paesi dell’Africa è del 15% (10.050), si scende al 7% verso l’Africa subsahariana: su 18.200 irregolari con foglio di via ne abbiamo rimpatriati 1.300. Per queste nazionalità fanno fatica a rimpatriare anche gli Stati dove l’applicazione delle espulsioni è a tolleranza zero. In Francia, dove il tasso generale di rimpatri è al 20%, verso l’Africa scende al 16%, per arrivare al 10% verso la zona sub sahariana. Stessa situazione per la Germania: con una percentuale di rimpatri all’81%, verso l’Africa siamo al 12%, e precipita al 9% verso la subsahariana.
Il denaro spedito a casaLa difficoltà si colloca in un quadro di non convenienza da parte dei Paesi africani nella stipulazione di accordi, e anche quando li fanno, se non sono costretti, non riprendono i loro cittadini. Il motivo sta nelle famose «rimesse». Dall’Italia ciascun immigrato manda alla famiglia d’origine denaro sufficiente a consentire una vita dignitosa. Secondo le stime che emergono incrociando i dati di Banca Mondiale e Istat, ogni nigeriano invia 11.826 dollari l’anno; un marocchino 2.441; un egiziano 5.081; un senegalese 4.199; un tunisino 3.423; un ghanese 3.137. Sono cifre che rapportate al Pil del Paese d’origine bastano a mantenere fino a sei persone. È evidente che nessun accordo può compensare la ricaduta di queste rimesse. Una strada alternativa potrebbe essere quella dei rimpatri «volontari», ovvero do al singolo immigrato un po’ di denaro per consentirgli di ritornare nel suo Paese ed aprire una piccola attività. Parliamo però di iniziative ancora troppo limitate.
I costi e i Cpr che mancano C’è poi il nodo dell’identificazione. La maggior parte degli stranieri devono transitare dai Centri per il rimpatrio, nei quali si verifica identità, nazionalità e disponibilità dei viaggi aerei. Doveva essere aperta una struttura in ogni regione, ma a dicembre erano attivi i centri di Torino, Roma, Bari, Brindisi, Potenza, Caltanissetta e Trapani, con un totale di 715 posti. L’intenzione è di arrivare entro l’estate a 1.600, con aperture a Milano, Modena, Gradisca e Macomer. Per quel che riguarda i costi variano dai 3 ai 5.000 euro per ogni rimpatrio. Per mantenere i livelli attuali servono dai 20 ai 34 milioni di euro. Per il 2019 Salvini ha stanziato 1,5 milioni di euro in più, ovvero la copertura per ulteriori 500 rimpatri. Conclusione: promettere di riempire gli aerei è facile, passare ai fatti è tutt’altra storia.