1. LA BANALITÀ NON È BANALE, 3 marzo 2019
HAI CAPITO LA ''REPUBBLICA'' DI VERDELLI! UN ARTICOLO DI BARTEZZAGHI SULLA BANALITÀ E UNA FEROCE LISTA DI FRANCESCO MERLO SUI GRANDI BANALI D'ITALIA, CON FABIO FAZIO '' BUONISTA EDUCATO, CHE ASSECONDA TROPPO I SUOI OSPITI E PROMUOVE LIBRI CHE NON HA LETTO'', ROBERTO BOLLE ''BANALITÀ DEL GLUTEO'', ELENA FERRANTE, ALFONSO SIGNORINI. COSA UNISCE MATTEO MESSINA DENARO E JOVANOTTI? CATTELAN, LA BANALITÀ DEL FINTO SCANDALO, LA PIÙ PAGATA DEL MONDO -
Stefano Bartezzaghi per ''la Repubblica - Robinson'' Visto da vicino, niente è davvero banale, niente è davvero originale. Cosa c' è di meno solenne e più dimesso del saluto "buonasera"? Eppure persino questa formula così quotidiana ha dato qualche brivido.
Il 26 agosto del 1978, il cardinal Albino Luciani era stato eletto Papa e aveva appena scelto il nome di Giovanni Paolo quando si affacciò alla Loggia di San Pietro e pronunciò in latino la sua benedizione alla folla plaudente. Sembrò voler aggiungere qualcosa, ma gli tolsero il microfono perché, gli dissero, "non usava". Non fu così meno di due mesi dopo, il 16 ottobre, quando il cardinale Karol Wojtyla si affacciò alla stessa Loggia in veste papale e con il nome di Giovanni Paolo II.
Rivolse alla folla il saluto "Sia lodato Gesù Cristo", a cui fece seguire l' apostrofe "Carissimi fratelli e sorelle" e quindi un breve discorso, divenuto celebre per la trovata del "Se mi sbaglio mi corigerete". Forse la novità di un Papa straniero convinse i cerimonieri della necessità di rassicurare subito i fedeli sulla sua padronanza della lingua italiana. Il successore di Wojtyla, Joseph Ratzinger, scelse il nome di Benedetto XVI e il 19 aprile del 2005 esordì con "Carissimi fratelli e sorelle".
Jorge Mario Bergoglio si presentò come Francesco il 13 marzo del 2013 e disse "Buonasera". Da una benedizione formale in latino, a una formula liturgica, a un appello discorsivo sino al più ordinario dei saluti, quello che si rivolge in ascensore al vicino incontrato rincasando: vorrà dire che con Francesco persino il papato è diventato "banale"?
Accarezzavo già l' idea di dedicare uno studio particolare alla banalità ma la decisione definitiva arrivò quando lessi un tweet che accusava appunto papa Francesco di aver augurato la pace in Terrasanta in modo assolutamente non originale e di non essersi affatto impegnato per fare meglio. Ho pensato cioè che i social network costituiscono fra le altre cose l' ambiente in cui è possibile ritenere banale il Papa: quindi l' ambiente in cui è più interessante studiare la banalità contemporanea.
Non è molto probabile che a ispirare Bergoglio sia stato il Disperato erotico stomp di Lucio Dalla, che dice che "l' impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale": eppure i paradossi fra norma e eccezione, trasgressione e conformismo, banalità e originalità sono noti da sempre e c' è tutta una letteratura al proposito.
Non solo le sintesi esilaranti che Alberto Arbasino ha sempre fatto dei tipici complimenti da recensione amica ("straordinario, come sempre!"): si può arretrare sino a Giacomo Leopardi, che annotava "Quegli uomini che i francesi chiamano originali, non solamente non sono rari, ma sono tanto comuni che sto per dire che la cosa più rara nella società è di trovare un uomo che veramente non sia, come si dice, un originale". Il fatto è che odiare i luoghi comuni è a sua volta un luogo comune.
La parola "banalità", nel senso in cui la usiamo oggi, ha la stessa provenienza francese e la stessa età della speculare "originalità", due gemelle che giocano a scambiarsi di posto per confonderci le idee. Nascono entrambe con la società borghese, crescono assieme a romanticismo, giornalismo, surrealismo e avanguardie varie, rispondono al motto di Arthur Rimbaud su Il faut être absolument moderne puntualizzando, da parte loro, che "moderno" e "moda" hanno lo stesso etimo (da modo, in latino "or ora"). Non si può essere moderni senza aneliti di originalità.
Resta però il fatto che se voglio essere notato dalla vicina di casa devo salutarla in qualsiasi modo che non sia "buonasera" (a meno che non lo pronunci come in un ormai antico spot, dove " buonasera" diventava una cosa da ridere); se il Papa neoeletto dice "buonasera" è invece tutt' altro che banale. La prima cosa da capire è dunque che la banalità non è mai assoluta, come non lo è l' originalità ( e neppure, Rimbaud ci scuserà, la modernità): è sempre funzione della circostanza e anche di quella che in semiotica si chiama " enunciazione", cioè la relazione fra chi parla e chi ascolta.
" Banale" è il contenuto del " ban", il " bando", la novità che l' araldo rende pubblica a tutti, nel villaggio: ciò che è comune, il sapere condiviso che istituisce una società. Perché, allora, non può essere anche "originale", legato cioè alle fonti dell' identità comune? Il problema è che noi non diamo valore al risaputo, al già detto, alla verità attestata; perché la accettiamo la verità deve arrivarci da uno svelamento, da una smentita di una verità già nota. Il modello è: " Tutti dicono che (che Armstrong è stato sulla Luna, che è meglio vaccinare i figli, che la Terra è rotonda), ma a me non la si fa".
L' originale diventa così l' autentico (in etimo "ciò che è fatto da sé") e l' autentico coincide con il vero; ciò che sanno tutti è invece svalutato. Per le verità che ci terrebbero a essere oggettive, di conseguenza, sono tempi duri.
Oltre alla diffidenza che ispira ogni presupposto comune c' è anche il dato di fatto per cui nei social network ogni nostro intervento (ogni frase ma anche ogni singolo emoticon o like messo con un clic sull' icona del pollice levato) è inesorabilmente corredato dalle nostre impronte " digitali", nell' altro senso dell' aggettivo; cioè da nome e immagine dell' account. Potrei essere il massimo costituzionalista italiano e mai potrei dire: "L' Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro". Quello che ne esce è sempre, inesorabilmente: "Bartezzaghi dice che: 'l' Italia'". L' oggettività è erosa già da principio e viene facile a quel punto confutare non l' enunciato ma l' enunciatore. Perché lo dici?
Perché citi solo la prima parte dell' articolo? Perché citi l' articolo 1 e non, per esempio, il 3? Può capitare e capita sulla Costituzione, che è il fondamento della nostra vita sociale; può capitare e capita su tutto, con il corollario che non si riconosce più autorevolezza ad alcuno. Chi ha studiato una materia tutta la vita è un professorone; chi ha lavorato nel ramo è stato prezzolato; chi si oppone ai venti antivaccinisti, terrapiattisti ( e prossimamente, chi sa, asinovolisti) difende i privilegi di casta e non c' è verità " ufficiale" che non meriti qualche colpo d' ascia. Persino il Papa può risultarci banale e oggi non chiameremmo Giovanni XXIII "il Papa buono", ma "buonista".
Siamo dunque diventati tutti "originali"? Lo si può pensare solo non tenendo conto di ciò che Leopardi aveva già intuito e parodiato: quanto facilmente banalità e distinzione si scambino di posto e quanta forza l' ordinario eserciti sullo straordinario. Se prendiamo a esempio le polemiche filistee contro il " politicamente corretto" ( che in Italia non ha mai costituito quella cappa di conformismo poliziesco che si evoca fantasiosamente) vediamo che in tema di rapporti fra i sessi chi definisce banali e ipocriti gli scrupoli non fa che richiamare in servizio luoghi comuni anteriori e davvero insensati, come "l' uomo è cacciatore" e "la donna deve innanzitutto accudire la prole". Il discorso pubblico ritorna così alla "natura" ( dell' uomo, della donna, del bambino, degli italiani, dei francesi, dei settentrionali, dei meridionali, degli ebrei, dei musulmani, dei migranti, dei comunisti etc.), da dove la critica massmediologica e ideologica l' aveva scacciato, a partire dal primo Roland Barthes negli anni Cinquanta e dal primo Umberto Eco nei Sessanta.
Oggi chi si scaglia contro le banalità si trova a rivalutare come originali asserzioni equivalenti ai blasoni popolari, del genere " i liguri sono avari", " l' arabo è infido", " torinesi falsi e cortesi", " vicentini, magna- gati". Grattando la superficie della banalità si precipita negli abissi del sapere tradizionale.
Tra l' ammirazione obbligatoria e rituale per il capolavoro di Sergej Michajlovi Ejzentejn e " La corazzata Potëmkin è una cagata pazzesca" di Fantozzi rag. Ugo il luogo comune vigente è il secondo e lo resta ancora, oggi quando certo non ha più alcun potere dissacrante. Il rimedio sarebbe allora quello di non rendere sacra né La corazzata Potëmkin né la sua stessa dissacrazione, ma chi ci darà tutta la laica saggezza che sarebbe necessaria a tanto?
Forse era meglio quando si riteneva che la gente fosse ingenua e quindi credulona e si esortava a diffidare. Ora le credenze infondate e stravaganti sono conseguenza non dell' ingenuità ma proprio di una malizia diffidente mal attrezzata.
Sulla scena pubblica, neppure tanto nuova, dei social network la competenza dei sapienti (che se ne stanno accorgendo, e a proprie spese) appare nei panni della sufficienza. Gli hashtag di oggi, gli slogan innovativi invecchieranno presto e mostreranno le corde della loro stessa banalità. Ma i paradossi del senso comune insegnano alla logica che essa non è sufficiente a scongiurarli. Quale fondamento dare a una nuova credibilità del discorso del sapere è la vera questione.
Sarà appunto banale dirlo, ma occorre innanzitutto neutralizzare l' anatema con cui bolliamo come negativa la banalità. Pensiamoci, la prossima volta che qualcuno ci dice "buonasera" pur senza essere papa.
2. FENOMENOLOGIA DEL GRAND BANAL Francesco Merlo per ''la Repubblica - Robinson''
Fabio Fazio
È la banalità di sinistra, bene ormai prezioso nella Rai militarizzata dalla banalità di destra. Buonista educato, asseconda troppo i suoi ospiti e promuove libri che non ha letto, ma preferisce l' accoglienza al razzismo e la corda civile alla corda pazza.
È dunque la virtuosa banalità del politicamente corretto, oggi espulso dalla coscienza nazionale, che resiste alla viziosa banalità del vaffa-sovranismo più scorretto, del potere che si spaccia per contropotere. È il garbo che intona contro lo sgarbo che rintrona, il suono che assopisce contro il tuono che stordisce l' intera tv, persino da Lilli Gruber che pure del garbo è la signora. Diceva Eco: "Ci siamo spinti alla comica banalità di chiamare non vedente il cieco, ma la civiltà del rispetto vale la fatica".
Elena Ferrante
È la banalità del Sud che piace agli americani e agli italiani del Nord. Scarpe rotte, fame, padri violenti, e in tv dialetto sottotitolato come nella Terra Trema di Visconti: un tardo dickensismo partenopeo, la banalità del ma-re. Ma la Napolitudine, la presunta specialità di essere napoletani, non è una chimica del liquido seminale, ma un' identità di carta che scala le classifiche, il luogo comune delle emozioni e dei friarielli, del rione pittoresco e straccione, la letteratura dell' irredimibile che scalda le coscienze.
Ed è banale il mistero del nom de plume in un mondo senza mistero, il gioco femminile dello pseudonimo: da Neera a Liala, dalle scrittrici rosa a Sveva Casati Modigliani. C' è pure la banalità di nascondersi dietro un uomo, (forse) un gran marito.
Alfonso Signorini
È la banalità del gossip e della tv trash. Si dichiara gay ed è bravo a raccontare l' Italia come un melodramma. Ma rimprovera, nientemeno, al cardinale Ravasi, coltissimo biblista ed ebraista, la simpatia per Mahmood: "Basta con questa Chiesa da Baci Perugina".
Tra i suoi scoop recenti: la gravidanza di Belén e le giostre sentimentali di Elisa Isoardi. Da almeno due decenni pubblica le foto in panza e braghe dei nemici di Berlusconi - il suo editore - che invece tratta e trucca come un re: "Per lui mi butterei dal balcone". Però dice: "Il gossip deve essere irriverente e spudorato". Aggiunge, con buone ragioni: "I giornali blasonati ci copiano e fanno peggio di noi". Gli sono stati dedicati libri molto (troppo?) seri. "La banalità - scrive Bartezzaghi - non sempre è stupida e la stupidità non sempre è banale"
Roberto Bolle
È la banalità del gluteo. Nel 2009, recensendo l' Aida di Zeffirelli, il critico musicale Paolo Isotta scrisse sul Corriere che l' unica cosa memorabile erano le natiche "liberamente periziabili di Roberto Bolle" che "per miracolo mettevano d' accordo tutti i sessi e ceti e categorie". Ma Bolle mai esibisce la banalità della malizia, e mai ammicca al sesso: è l' eccellenza del diavolo buono, il ballo atletico senza la sensualità dei Nureyev.
Ha scritto il New York Times che il nostro non è più il tempo delle ballerine, ma dei ballerini maschi: "There' s never been a better time to be a male dancer". E però l' arte di Bolle, alla Scala e in tv, non solo non è di genere, ma è un' impresa inventata dalla mamma e gestita dalla sorella: una magnifica banalità italiana.
Matteo Messina Denaro
È la banalità del male, senza volto e sempre in fuga. Nel 2010 Forbes lo descrisse ricchissimo: "È conosciuto ( sic) come Diabolik e come the italian mafia' s playboy, noto ( sic) per lo stile di vita veloce, le Porsche e i Rolex". Quando poi li prendono, questi imprendibili mafiosi, sono invece banalissimi panciuti con l' aria e il lessico dei sottoproletari.
Lui è latitante da 26 anni benché siano stati arrestati un centinaio di complici e benché gli investigatori speciali - Sco, Ros, Gico, Scico, Aisi, Aise - siano sempre a un passo dal prenderlo: "È mai possibile che a Castelvetrano tutti incontrano Matteo tranne noi?". Ecco la banalità secondo Borges: "Somigliava a tutti gli uomini, tranne nel fatto che somigliava a tutti gli uomini"
Carlo Cracco
È la banalità del sapore spacciato per sapere. Il tuorlo marinato, l' ostrica coi fichi e il cioccolato con le olive nere sono banalità creative che somigliano alle parodie di Antonio Albanese, al brodo arrosto e al riso tatuato all' incenso.
Ma intimidiscono il palato e friggono il giudizio perché sempre la banalità monta e gonfia come la sua maionese di liquirizia. Negli spot pubblicitari si compiace come un campione, come David Beckham: "Il mio bagno, il mio living, la mia cucina". Al contrario quando faceva il giudice di Masterchef era cattivo, (quasi) all' altezza delle sue grue di cacao sul salmone. Quando serve la pizza, cara perché gourmet, ricorda la signora Coriandoli (Maurizio Ferrini) che alla banda Arbore serviva il coniglio con le cozze cucinato con lo strutto.
Maurizio Cattelan
È la banalità del finto scandalo: un gabinetto d' oro, Papa Wojtyla steso dal meteorite, i bimbi - pupazzi impiccati all' albero, Hitler in ginocchio, e in un museo c' è pure la denunzia del furto di un' opera d' arte invisibile che, ha detto ai carabinieri, "tenevo nell' auto". Niente più basco in testa e pennello in mano, si laurea artista negandosi alla banalità della popolarità.
"Per 7 anni - ha raccontato Massimiliano Gioni - rilasciavo interviste e ritiravo premi al suo posto. E l' ho fatto parlare con frasi di Breton, Kafka e Carmelo Bene. Ma era quello il vero Cattelan: l' artista con l' identità cangiante". Di sé dice: "Io sono le fake news". Trasgredendo seppellisce la trasgressione e il mito dell' artista-diavolo. È la banalità più pagata del mondo.
Lorenzo Jovanotti
È la banalità di cuore-amore da sempre in testa alle classifiche. Non l' amore disperato del sempre tradito, lasciato e maltrattato, ma l' amore felice ed entusiasta: "sento il mare dentro una conchiglia / l' eternità è un battito di ciglia". Poca musica, poca voce, molta simpatia, è onesto sincero e dolce di pensiero, la banalità della passione timorata, ancora a 53 anni scavezzacollo per mamme.
Il manifesto della sua banalità è "No Vasco / io non ci casco" rimario di un improbabile rock morigerato contro la smodatezza del rock degli spericolati. Leggi i titoli - Mi fido di te, Baciami ancora, Chiaro di luna, Un raggio di sole... - e senti in bocca l' acqua delle patate lesse. E però in confronto alle "banalità originali" di Fedez, Mahmood, Ultimo e Achille Lauro, sembra il canto del pastore leopardiano.
Santiago Calatrava
È il grand' uomo del ponte. Alla struttura sempre uguale del ponte strallato, com' era quello di Genova, sospeso e sostenuto da cavi ancorati ai piloni, Calatrava aggiunge la griffe degli sfarzosi elementi decorativi: una cresta, l' arpa, le eliche o - a Bilbao e a Venezia - il pavimento di vetro per rovinosamente scivolare e farsi molto male nel modo più banale.
Costi altissimi, tempi lunghissimi, errori e tribunali sono le sue originalità. Eppure non c' è sindaco che non voglia un bel ponte di Calatrava. Quello di Cosenza è la banalità più alta d' Europa. A Reggio Emilia e a Dallas ce ne sono tre. In California e a New York, in Spagna e in Germania, a Londra e in Italia, non c' è ruscello che non abbia il suo Calatrava.