Libero, 3 marzo 2019
Ai settantenni il 10% delle ditte
«Andare in pensione? Ma per carità, non ci penso nemmeno!». Giuseppe Freri è un imprenditore milanese con un piccolo segreto alle spalle, la sua età anagrafica. «Ho fondato la mia prima società nel 1963, da allora ne è passata di acqua sotto i ponti. Guardi, se appena posso glisso anche sui documenti: ho 21 anni compiuti. Da un pezzo, ma questo è un dato marginale». Il fatto è che il giro di boa degli “anta” Giuseppe l’ha superato da tempo. Questione di orologio, niente di più: l’importante non è essere giovani, ma sentirsi ragazzini nello spirito. Fa bene pure all’azienda. «Mi occupo di distribuzione edile, nel 2004 ho lanciato lo sviluppo di una rete innovativa che sta dando i suoi frutti, chi si ferma è perduto. E poi per cosa? Per stare sul divano a lamentarmi? No, no: meglio lavorare». Non sta fermo un attimo, Giuseppe: la “4bil” (la sua ditta, che gestisce assieme ai figli) è tra le più innovative d’Italia. E non è manco l’unica: nel senso che l’imprenditoria over70, nel nostro Paese, macina successi. Basta scorrere le statistiche per rendersene conto. Circa 302mila attività gestite da “anziani” che rappresentano il 9,8% delle imprese tricolori attualmente sul mercato, 25mila società registrate nella sola Lombardia e una “quota rosa” che fa invidia alle nuove generazioni: le signore titolari di una ditta sono il 28,2%, ma in province come Avellino e Udine raggiungo rispettivamente il 40 e il 39%. Non chiamateli “nonnini”. Ché tra esperienza, lungimiranza e capacità di adattamento alle esigenze del commercio del futuro, i 70enni sono imprenditori a tutto tondo. Altroché.
LA CAPITALE
Nel 2018 hanno condotto 14mila aziende a Roma (i numeri sono snocciolati in un recente studio della Camera di Commercio della Madonnina), altre 10mila a Napoli, 9mila a Bari, quasi 8mila a Foggia, 6.656 a Milano. Il settore in cui sono più ferrati è l’agricoltura, 174mila aziende del settore sono trainate da loro. A Trapani, a Grosseto, a Viterbo e a Caltanissetta un piccolo imprenditore su otto (circa 17%) appartiene alla cosiddetta “terza età”. Chi l’ha detto che il fiuto per gli affari è una prerogativa dei trentenni? A Cervia (Ravenna), alla tenera età di 93 anni, Dina è fissa al suo posto di lavoro: dietro i fornelli del suo ristorante, sul lungomare, che ha aperto nel 1963. Stesso anno in cui Giuseppe si è lanciato nel mondo dell’imprenditoria, buffa coincidenza: evidentemente però ha portato bene a entrambi. Dina è nata nel 1926 e ancora oggi il grembiule non se lo toglie nemmeno per scherzo. In Romagna è un’istituzione. Qualche mese fa, a Treviso, invece, Letizia Ceruti ha festeggiato i 90anni dietro al bancone del suo bar, l’”Edera”. Letizia prima aveva aperto una macelleria con il marito, poi è passata alla ristorazione e all’alberghiero e adesso gestisce una tabaccheria in centro: è in attività da sessant’anni. A Nomi (Trento) il vignaiolo Bruno Grigoletti ha spento nell’autunno scorso le sue ottanta candeline sulla torta, con una festa in azienda dove era invitata (ovvio) mezza provincia. Amici, parenti e una sfilza di clienti e colleghi che non finiva più.
CAFFÈ OTTOLINA
«Faccio caffè da settant’anni», racconta infine Remo Ottolina, della Ottolina Caffè (appunto) che ha fondato lui stesso col padre nel 1948. Remo di primavere ne ha viste 77, ma lo sguardo è sempre rivolto al domani. Ché a restare indietro, guai: è la prima regola del commercio. Di quello che funziona, almeno. «In azienda ci sono i miei figli e questo è molto bello, perché siamo una famiglia unita. Il nostro cliente principale è McDonald’s». Lo dice così, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Ogni volta che, in Italia, ordiniamo un caffè al fast-food beviamo le miscele di Remo, ma lui neanche ci fa più caso. Ordinaria amministrazione. «Mi sto battendo perché i negozi possano restare aperti la domenica», chiarisce. Voglia di riposarsi, zero. Potrebbe tranquillamente vivere di rendita, Remo, macchè. «Il lavoro mi fa sentire meno solo, ci sono i miei ragazzi, è la mia vita».