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 2019  marzo 03 Domenica calendario

Un europeo su sei soffre d’ansia

Eravamo pressoché certi che l’Occidente stesse morendo per stanchezza, ma non pensavamo che stesse anche impazzendo. Eppure a dare l’immagine dell’Europa come un grande ospedale psichiatrico o una gabbia di matti arriva ora una ricerca pubblicata su truenumbers.it e tratta da dati Ocse. Il quadro che emerge è quello di un continente che ha perso la brocca, un’Unione di Stati e di popoli che, più che sentirsi figlia dell’età dei Lumi, pare degna erede della Follia celebrata da Erasmo. La fotografia relativa all’incidenza di disagi psichici, di dipendenza da alcol o droghe, di disturbi legati ad ansia o depressione sul totale della popolazione europea suona allarmante: una persona su 6 in media (il 17,3% dei cittadini) ha qualche problema di salute mentale.

LE ECCEZIONI
All’interno di questo concentrato di irragionevolezza spiccano tuttavia delle significative eccezioni. E sono quelle dei Paesi dell’Est che figurano agli ultimi posti per quanto riguarda la diagnosi di patologie mentali. Per capirci: se Stati del Nord Europa come Finlandia, Olanda, Francia, Irlanda registrano una percentuale di disagi psichici superiore al 18%, in Paesi del blocco orientale, come Ungheria, Repubblica Ceca, Polonia, Romania, la diffusione di questi fenomeni è decisamente più bassa, tra il quattordici e il quindici per cento. Semplificando, si potrebbe sostenere che in questi Paesi si rischia meno di dare di matto perché tengono di più le strutture di riferimento tradizionali quali Dio, Patria e Famiglia. Parliamo di Stati in cui il senso religioso è più radicato e il processo di laicizzazione più lento, in cui il modello familiare fa ancora da argine rispetto all’individualismo e in cui c’è uno spiccato senso di nazione, che riguarda l’identità patria e lo spirito comunitario. Non è un caso, insomma, che nei Paesi del blocco di Visegrad l’anima del singolo si ammali con più difficoltà: qua resiste ancora l’anima del popolo, il senso di appartenere a un destino più grande, oltre le miserie individuali. Come ci dice lo psichiatra Francesco Somajni, «la cultura religiosa e il senso della famiglia fungono da contenimento rispetto a patologie e disagi. Cosa che è avvenuta molto meno nel nostro Paese, dove questi riferimenti si stanno sfaldando (in Italia l’incidenza di disturbi psichici è del 16,9 per cento, ndr)». Un altro fattore riguarda la questione economica, ossia l’incidenza dello stato di precarietà e della mancanza di lavoro sull’equilibrio individuale. Anche qui è da notare che i Paesi dell’Est, dove il tasso di malattie psichiche è più ridotto, sono gli stessi dove la percentuale di disoccupazione è più bassa. Si vedano, per fare un confronto, i numeri di Ungheria, Repubblica Ceca e Romania in cui i disoccupati si muovono tra il 4 e il 6%, e quelli di Paesi come Portogallo e Francia in cui la gente che non lavora supera il 10%. «È un fatto», continua Somajni, «che la crisi economica abbia aumentato le diagnosi di depressione e ansia e i casi di scompensi psichici importanti». Con un cortocircuito interessante, tuttavia. Nei Paesi meno opulenti, dove bisogna faticare per portarsi a casa il pane, lo stato di povertà non determina malattie psichiche ma curiosamente le argina. «Le popolazioni dell’Est», spiega Somajni, «da sempre devono far fronte a problemi reali, a necessità materiali, e quindi risentono meno di patologie psichiche». Come dire: se hai il problema di sfamarti, non hai tempo di pensare a quanto sei infelice. Un ultimo elemento di cui tenere conto è l’immigrazione. Il trasferimento massiccio di gente da altri Paesi destabilizza inevitabilmente chi arriva. Numerosi studi (tra cui quello dell’associazione Psicologo di Strada di Padova) hanno accertato quanto il disagio mentale colpisca frequentemente i migranti sia per le violenze subite durante il viaggio che per il senso di sradicamento all’arrivo.

FATTORE ACCOGLIENZA
Parimenti un disagio psico-sociale colpisce anche quei cittadini europei che si trovano a fare i conti con l’accoglienza. «Chi vive nelle periferie urbane» rileva Somajni, «sperimenta quotidianamente la precarietà esistenziale che incide sull’equilibrio psichico. In questo quadro, l’arrivo di migranti non facilita le cose». E allora, anche in questa circostanza, può essere interessante scoprire che i Paesi dell’Est dove i casi di patologie psichiche e di uso di droghe e alcol sono più bassi sono gli stessi dove la percentuale di immigrati è minima (al 3% in Ungheria, allo 0,6% in Romania). Per fermare l’Europazzia, insomma, forse dovremmo guardare a Oriente. Salvo voler trasformare l’Europa in un paziente da reparto neurologico: la Neuropa.