La Lettura, 3 marzo 2019
I segreti degli astrociti. Così cambia il cervello
Quando parliamo di cervello molti di noi pensano ai neuroni, eppure negli ultimi decenni è stato dimostrato che la visione neurone-centrica delle funzioni e disfunzioni cerebrali è sorpassata. Il cervello umano è infatti costituito per la maggior parte da cellule, dette gliali (da glue, colla), perché al tempo della loro scoperta, alla fine dell’Ottocento, si riteneva fossero un collante che riempiva gli spazi tra i neuroni. Dopo più di un secolo dalla loro identificazione, si è visto che un particolare tipo di cellule gliali, dette astrociti, hanno un ruolo centrale nella struttura e nella funzione del cervello. Gli astrociti, così detti per la loro morfologia a stella, sono cellule caratterizzate da prolungamenti che contattano sia i neuroni che i vasi sanguigni cerebrali. Un dato interessante è che il numero di astrociti e la loro complessità rende diverso il nostro cervello da quello di altri mammiferi, come i roditori, e da quello di alcuni invertebrati, come le lumache.
In un cervello umano il rapporto tra il numero degli astrociti e quello dei neuroni è 10 volte superiore a quello di una lumaca. Inoltre, gli astrociti umani sono più grandi e più ramificati e presentano processi 10 volte più lunghi rispetto a quelli osservati in altri animali. Nell’ambito dell’Homo sapiens sembra che la complessa morfologia degli astrociti sia correlata a capacità cognitive migliori. È curioso che gli astrociti del cervello di Einstein, secondo uno studio anatomico effettuato nei primi anni Ottanta, siano più numerosi e complessi rispetto a quelli osservati in altri uomini della sua stessa età. Infine, studi più recenti hanno chiarito che gli astrociti contribuiscono in modo fondamentale al neuro sviluppo e alla formazione di nuove sinapsi, le strutture che connettono due neuroni e ne consentono la comunicazione.
Ciò che rende rivoluzionario lo studio degli astrociti è il loro emergente ruolo nelle funzionalità del cervello. Sono definite cellule non eccitabili, perché non possono generare e propagare l’impulso bioelettrico allo stesso modo dei neuroni. Infatti, nella visione classica, si ritiene che alla base dei processi cognitivi quali memorizzazione, apprendimento, ci sia la capacità dei neuroni di dialogare attraverso un segnale, detto potenziale d’azione, che è propagato da un neurone all’altro attraverso le sinapsi. Tuttavia adesso si sa che anche gli astrociti comunicano tra loro e partecipano alla comunicazione tra neuroni, tramite segnali diversi dal potenziale d’azione, ovvero onde di calcio, e che questa forma di eccitazione è fondamentale per il corretto funzionamento dell’attività neuronale.
Queste oscillazioni di calcio si verificano localmente a livello della sinapsi tra due neuroni, in risposta a variazioni molto piccole della concentrazione di ioni, acqua o di trasmettitori, ma possono propagarsi anche per lunghe distanze. Quindi tra due neuroni, c’è un terzo elemento a cui spetta l’incomodo compito di risistemare l’ambiente in cui i neuroni devono lavorare. Infatti, oltre ad attivare processi che consentono di mantenere l’equilibrio tra ioni, acqua e molecole (omeostasi iono-idrica), provvedono al supporto metabolico necessario perché i neuroni possano funzionare, regolando la circolazione sanguigna neurovascolare. È interessante notare come attraverso la loro complessa morfologia, gli astrociti siano in grado di esercitare la loro attività di sensori e controllori dell’attività cerebrale a diverse scale spazio-temporali. Inoltre, gli astrociti, attraverso i segnali di calcio, rilasciano molecole (gliotrasmettitori), che sono in grado di potenziare la funzione di un neurone (potenziamento sinaptico) e, nel lungo termine, di promuovere la formazione di nuove connessioni tra neuroni (plasticità sinaptica). Entrambi i processi sono fondamentali nella memoria e nell’apprendimento. L’alterazione delle oscillazioni di calcio, che mediano il dialogo tra neuroni e astrociti, è implicata in patologie acute come ictus ed epilessia, dove sono proprio gli astrociti le prime cellule a sentire che qualcosa non va.
L’alterazione progressiva della comunicazione neuroni-astrociti porta alla compromissione della memoria e probabilmente di altre funzioni cognitive nella malattia di Alzheimer. Ma se la funzione degli astrociti è così importante, come mai sta emergendo solo nell’ultimo ventennio? Studiare un neurone è relativamente più semplice. Il problema nello studio degli astrociti è di tipo tecnologico, infatti nella neuro-ingegneria gli strumenti attualmente disponibili sono stati progettati e mirati esclusivamente per lo studio dei neuroni. Per vedere un segnale di calcio è stato necessario che venissero sviluppati tecniche di microscopia ottica ad alta risoluzione e marcatori fluorescenti per il calcio.
Inoltre, quando studiamo gli astrociti in laboratorio (in vitro), perdiamo molte informazioni perché le metodologie usate ad oggi ci consentono di ottenere cellule poligonali, ben diverse dalla morfologia a stella che esprimono in vivo. Tuttavia, sebbene grazie all’impiego della microscopia a due fotoni accoppiata all’utilizzo di modelli animali geneticamente modificati, sono state compiute scoperte importanti, la nostra capacità di studiare e comprendere gli astrociti e il loro ruolo nel cervello è ancora molto limitata. In quest’ottica, la strategia che stiamo attuando da una decina di anni al Cnr-Isof in collaborazione con altri istituti (vedi la scheda a sinistra), è quella di concentrare i nostri sforzi sullo sviluppo e la validazione di materiali e tecnologie avanzate che siano in grado di accendere o spegnere, in tempo reale, o nel lungo periodo, l’attività degli astrociti. Per farlo abbiamo pensato di sfruttare la capacità che gli astrociti hanno di rispondere a stimoli chimici e fisici, quali lo stimolo meccanico, il campo elettrico o la luce.
In un lavoro pubblicato dai ricercatori del Cnr-Isof e del Cnr-Ismn per la prima volta è stato possibile dimostrare che gli astrociti, considerati cellule passive e di supporto, possono essere eccitati attraverso un campo elettrico applicato da un dispositivo organico. Facendo convergere in un singolo gruppo di lavoro competenze multidisciplinari che vanno dalla chimica alla scienza dei materiali, alla fisica dei dispositivi, la fotonica e le neuroscienze, stiamo riuscendo ad aprire uno scenario internazionale che può cambiare il modo di comprendere, stimolare e modulare la funzionalità del cervello.
La visione è di per sé attrattiva anche per strategie globali di più ampio respiro che coinvolgano partnership internazionali e transoceaniche. In questo senso si collocano gli sforzi effettuati per mettere in comune in modo organizzato risorse umane ed economiche che provengono da enti di ricerca governativi transnazionali e transcontinentali (vedi ancora la scheda a sinistra). I risultati degli studi compiuti negli ultimi due decenni aprono un’opportunità a terapie farmacologiche che mirano a combattere patologie cerebrali acute o croniche. La nostra strategia pone le basi per una visione nuova: generare tecnologie che mirino alla comprensione del cervello e del suo funzionamento non avendo come target i soli neuroni, bensì le cellule non neuronali.
La generazione di materiali e tecnologie mirate agli astrociti (interfacce gliali) potrebbe avere un impatto anche sullo sviluppo industriale di dispositivi avanzati per la salute che mirano a riaccendere il cervello dove sembra spento e rivoluzionare la bioingegneria e la robotica.