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 2019  marzo 03 Domenica calendario

Sergio Rubini sfida Dracula. Intervista

Dopo Delitto/Castigo, dal capolavoro di Dostoevskij, tocca a Dracula, dal romanzo di Bram Stoker. La passione di Sergio Rubini di portare in scena la grande letteratura sta diventando una costante. «Da ragazzo mi sono formato con questi libri – spiega l’attore a “la Lettura” —. Dalle storie raccontate dallo scrittore russo, mi ero subito sentito accettato, all’epoca, per tutte le deformità, le anomalie, le contraddizioni in esse espresse e di cui mi sentivo portatore. Dracula è un mio vecchio amore, mi ha sempre affascinato, perché rappresenta il male in assoluto, che ci travolge, che ci seduce...». 
Lo spettacolo, prodotto dal Nuovo Teatro di Marco Balsamo, debutta il 5 marzo alla Pergola di Firenze, dal 3 aprile sarà all’Ambra Jovinelli di Roma, con la regia dello stesso Rubini, che firma anche l’adattamento scenico con Carla Cavalluzzi.
La riscrittura di un capolavoro letterario può essere rischiosa...
«Certo, il rischio è sempre in agguato... Preciso subito, però, che adattare questi romanzi dal punto di vista drammaturgico non nasce dalla frustrazione di non riuscire a trovare pièce interessanti da interpretare, ma solo dal desiderio di approfondirli in un luogo che, a mio avviso, è il più adatto: il teatro è la terra della sperimentazione, della ricerca. In questo caso, come nel precedente, non abbiamo operato una semplice riduzione... non è facile, direi persino che è impossibile ridurre, restringere libri di centinaia di pagine. Ci siamo concentrati su alcuni personaggi, quelli che ritenevamo i principali, tagliandone altri. Stoker permette di farlo, perché la sua scrittura apre mille piste da percorrere».
La pista principale dell’opera è quella di un viaggio notturno verso l’ignoto, tra lupi che ululano, banchi di nebbia, treni che passano, cavalli imbizzarriti dalle narici infuocate, e tante croci allineate lungo il percorso. Lo spettacolo è dominato dall’oscurità? 
«Non potrebbe essere altrimenti. Il personaggio del Vampiro è una grande metafora della morte. Mi sembra interessante affrontarlo dal punto di vista psicologico dell’oscurità dell’anima. Il romanzo gotico dello scrittore irlandese è stato scritto alla fine dell’Ottocento, poco prima dell’avvento delle teorie di Freud sulla scoperta dell’inconscio, ma è già intriso di quelle teorie, in qualche modo ne è il precursore». 
In che senso? 
«Tutte le paure dei personaggi di Dracula partono dall’inconscio, ma Stoker non ne era consapevole, gli mancava la giusta chiave di lettura. Ecco che le ragioni dei malesseri vengono intercettate fuori dai personaggi stessi. In altri termini: lo psicoanalista afferma che il male, che scatena i nostri incubi, lo abbiamo dentro di noi; Stoker dice che ci aggredisce dall’esterno, da un’entità che, qui, rientra nella sfera dello spiritismo».
A compiere il viaggio è il procuratore londinese Jonathan Harker (interpretato da Luigi Lo Cascio), incaricato di recarsi in Transilvania per curare l’acquisto di un appartamento a Londra da parte di un cliente altolocato, un certo Conte Dracula.
«Il giovane avvocato accetta con entusiasmo l’incarico, attraversa un momento positivo della carriera ed è felicemente sposato con Mina (Margherita Laterza). Ma non può immaginare, non è a conoscenza della terribile avventura che lo attende, quando verrà a trovarsi nel fatidico castello: una sciagura da cui, all’inizio, riuscirà eroicamente a scappare per tornare in patria, ma che alla fine gli farà venire i capelli bianchi».
Nel castello incontrerà un cliente molto particolare, impersonato da Geno Diana.
«È un bell’uomo elegante, che parla in slovacco».
Perché?
«Per renderlo più distante, più astratto. L’ho immaginato come un guerriero a riposo, con origini antichissime, erede di Attila, insomma un tipo intriso di arcaicità. Sfugge all’iconografia classica, è lo straniero per definizione, colui che si impossessa della vita degli altri, è un seduttore: la morte è dotata di un suo intrinseco erotismo. E infatti, quando Jonathan torna a Londra per riabbracciare la sua amata, si rende conto che Dracula è già arrivato in città, lo ha misteriosamente preceduto». 
In che modo si accorge della sua presenza? 
«Dagli effetti negativi su Mina, la trova affetta da una strana malattia: ha crisi di sonnambulismo apparentemente inspiegabili. Teme che questo possa avere conseguenze negative sulla loro unione, perciò si rivolge a uno psichiatra, il dottor Seward (Roberto Salemi), che accetta di prenderla in cura. E siccome anche Jonathan è assalito da crisi di ansia e di angoscia, la coppia di sposi viene accolta in un’ala del manicomio. Presto, però, Seward sente di non avere gli strumenti giusti per risolvere la situazione, dunque è costretto a chiedere aiuto a un suo amico».

E qui entra in scena il professor Abraham Van Helsing, l’antagonista di Dracula.
«È il personaggio che ho ritagliato per me: filosofo metafisico olandese, conoscitore dell’occultismo, esperto di fenomeni soprannaturali».
Un uomo di scienza...
«Sì, ma che ha maturato, nella sua vita, la consapevolezza che la scienza non sia tutto: non tutto è spiegabile scientificamente, in maniera razionale. Van Helsing è a suo modo uno spregiudicato, aperto a tutto, pronto anche a mettere le mani nella superstizione, nel mistero esotico... insomma è uno che, assumendosi il compito di estirpare il male, va al di là della realtà oggettiva. Lo si potrebbe definire una specie di esorcista».
Perché ha scelto un tipo del genere per sé?
«Perché io firmo la regia della messinscena e Van Helsing è a suo modo il regista che gestisce questa cordata di persone che si sbracciano per affrontare il male, per guarire dal male: il mostro che si annida dentro tutti noi. Ma anche perché io sono il più anziano di tutta la compagnia, dunque mi pare un ruolo adatto alla mia età anagrafica».
Lei non si può definire vecchio a 59 anni...
«No, ma certamente non più giovane. Ora mi si offre la possibilità di guardare alla morte, tema centrale del testo, con uno sguardo diverso da un ragazzo: è lo sguardo maturo di chi sa che alla morte deve cominciare a pensarci, a farci i conti, a metterci le mani... il tempo che passa la avvicina inesorabilmente, occorre prenderla in considerazione, per saperla fronteggiare e accettare».
L’attualità di un romanzo gotico è possibile?
«In questo romanzone sono racchiusi molti temi attuali. Uno fra tutti l’eutanasia. Mina è contaminata in maniera irreversibile, è una malata terminale ed esprime il modo in cui ci si pone di fronte al progredire di una malattia. A un certo punto della sua dolorosa discesa nell’Ade, chiederà a Jonathan di ucciderla».
C’è anche un altro tema molto attuale...
«L’oscillazione tra scienza e superstizione. Le corsie degli ospedali sono affollate non solo di medici e infermieri, ma pure di effigi religiose, santini, madonne di Lourdes, immagini di padri pii... Quando si è malati ci sentiamo impotenti, la ragione si arrende, affidandosi ad altro in cerca di aiuto: alla spiritualità, e anche alla magia... tutto si confonde ed entra in gioco la suggestione, che in certi fortunati casi – perché no? – può addirittura contribuire alla guarigione».